Se non fosse ancora chiaro le partecipate di Roma Capitale con l‘ultima vicenda dell’Ama hanno dimostrato tutta la loro inefficienza. Sono anni che quasi tutte le società pubbliche vengono messe in discussione, sia per i criteri di selezione del management che per i criteri economico gestionali che adottano. Per quanto riguarda il management la responsabilità è tutta politica e nel caso dell‘Ama è da attribuire al Sindaco Virginia Raggi.
Per quanto riguarda invece il modello organizzativo, gestionale, economico, etc etc, la responsabilità è della governance stessa quando non è ugualmente responsabilità della politica perché non approva i piani e i progetti predisposti. Non è neppure bastato il recente testo unico sulle società partecipate TUSP, a fare la necessaria chiarezza su tutti gli aspetti.
Il modello gestionale dei servizi pubblici locali presenta fin dall’ inizio una anomalia che sia i comuni che lo Stato non hanno saputo riconoscere. In effetti, se un servizio pubblico locale è gestito in forma diretta dall’ente, il costo del personale è solo quello riferito ai salari, gli stipendi e gli oneri riflessi. Se, invece, il servizio pubblico locale è stato affidato in house ad una società di capitali, le fatture che quest‘ultima emette, comprensive del costo del personale, sono tutte fatture con iva.
Per l’ente locale l’iva rappresenta un costo, che si va ad aggiungere al costo del personale che avrebbe avuto, se la gestione fosse stata in forma diretta. Solo questa piccola prima considerazione dovrebbe far riflettere che il modello società pubbliche partecipate difficilmente può essere giustificato perché i costi dei servizi comprensivi dell‘iva che abbiamo appena detto ricadono sui contribuenti.
Ritenere che una società pubblica, politicamente eterogestita, possa raggiungere i livelli di economicità analoghi alle società private ha rappresentato una speranza dei vecchi legislatori, alimentata soprattutto dalla possibilità che “doveva” essere data alle amministrazioni (sindaci, presidenti di provincia e di regioni) di poter effettuare “nomine politiche”. Se solo si desse uno sguardo a tutta l’impalcatura sull’ anticorruzione che l’appena citato TUSP ha dovuto costruire per tentare di regolamentarla, ci si renderebbe conto del “ripensamento” che il legislatore nazionale ha avuto su questo modello.
I rifiuti che invaderanno Roma saranno il frutto della mancata volontà di “studiare”, alla radice, il “problema” delle partecipate. Riusciremo ad arginare i rifiuti e tutte le altre inefficienze, purtroppo inevitabili, delle società pubbliche, solo quando si riuscirà ad istituire una commissione di studio di revisione non solo legislativa del modello ma soprattutto di revisione contabile-economico gestionale e si riuscirà a spiegare all’Europa che le società partecipate non possono essere considerate come “concorrenti” delle società private perché il loro scopo non è “lucrativo” ma erogativo, tendente cioè al pareggio di bilancio ed alla riduzione della conflittualità sociale.
Non vorremmo essere maldicenti ma a qualcuno è venuto il dubbio, ci riferiscono, che l’accordo nazionale M5S-PD, finalizzato anche ad una ripartizione di potere delle ormai note 400 nomine nazionali, avesse anche ricompreso la nomina dei Cda degli enti locali; chiediamo scusa ma alla nostra memoria ritorna spesso in mente la famosa frase di Andreotti:” A pensar male si fa peccato ma spesso ci si indovina”. Siamo certi che non sia così.