domenica, 17 Novembre, 2024
Considerazioni inattuali

Il tremore

Una volta ho visto un uomo vigliacco tremare forte. Tremava sì per paura, ma piuttosto e soprattutto per un senso di nullità; per la superiorità morale e fisica dell’altro che aveva di fronte. Vedendoselo arrivare, circondato dall’aura mistica che solo i grandi di spirito possiedono, cominciava a tremare e a contorcersi su sé stesso. E cercava dentro di sé tutte le forze e le conferme, che però la sua mente, il suo corpo non gli offrivano – perché conosceva bene sé stesso, conosceva la sua natura meschina, vuota: sapeva di non valere niente.

LA SINDROME DI STENDHAL

Si può tremare per paura, per insicurezza; si può tremare di follia – soprattutto si trema di emozione. E non è forse molto simile, lo stato emotivo che sconvolge e sovrasta, alla paura? Come quel sentimento di sconvolgimento misto a nullità che assale talvolta quando si osserva un’opera d’arte – come la commozione che riempie gli occhi durante l’ascolto di un’opera lirica – e tentiamo di carpirne l’immensità: in uno stato estatico, in una perpetua sindrome di StendhalLa sindrome che addormenta i sensi, perché ciò che abbiamo davanti è troppo tutto insieme perché riusciamo a sopportarne la magnificenza.

LO TREMARE DEGLI OCCHI MIEI

“E chi avesse voluto conoscere Amore” – scrisse Dante – “fare lo potea mirando lo tremare degli occhi miei”. Ai vili infatti, forse tremano le ossa, le membra: le carni, l’attestazione di un involucro senza sostanza, senza il coraggio che dà all’anima la sostanza. Ai forti invece tremano gli occhi: quando e perché amano. Di un amore che non si esaurisce nell’attrazione romantica, bensì si avvalora nell’empatia: nella capacità di entrare nell’altro, di cum-prehendere in toto la sua essenza e farla nostra; di immedesimarci nella sua condizione irripetibile, ma percepibile dal corpo e dallo spirito.

RICONOSCERSI NELL’ALTRO

Tremare – nel più simbolico ed aulico dei suoi significati – vuol dire ri-conoscersi ed essere dunque sovrastati da uno stato quasi sconosciuto, che però nell’incontro, nell’immedesimazione perda la sua condizione di ignoto e si renda al contrario intimo e denso di tutte le connotazioni più familiari. Proprio come nell’atto di scrivere: nel quale sono me stessa ed al contempo altro da me; mi affermo poiché sono io a scrivere e pure mi rinnego affermando la moltitudine che interpreto mentre scrivo. Ed almeno personalmente, è forse questo il momento, quello che precede immediatamente la stesura definitiva di un pensiero che esplicita pienamente lo stato di tremore interiore e fisico.

LA VILTÀ DI FRONTE ALLA GRANDEZZA

È pensabile allora che anche il tremore di quel vile abbia lo stesso valore ed assuma un medesimo significato: perché – per paura o per amore – si trema sempre di fronte alla grandezza, troppo pura, grande e magnifica per meritarne la manifestazione ed esserne all’altezza. Egli tremava di fronte alle sue debolezze, ai suoi sogni irrealizzati: all’uomo che invidiava e che non sarebbe mai stato e davanti alla donna che avrebbe desiderato come altissimo ideale ma che odiava, perché infinitamente superiore a quella che lo aveva generato.

LA NEGAZIONE DELLO SPLENDORE

Tremare allora implica forse l’ambivalenza? Significa amare ed odiare l’altro al contempo? E pure rivolgere su sé stessi nel mentre amore e odio? Tremare per questa fortissima opposizione, per una insopprimibile necessità: per voler guardare un’opera e non riuscire a sostenerne la visione – per voler somigliare a qualcuno che non sei, per amare in un individuo la grandezza che non possiedi ed allora per debolezza, preferirne la negazione. Negare la grandezza, però, non rende più grandi; negare o cercare di graffiare il Mosè di Michelangelo una volta varcata la soglia della Basilica di San Pietro in Vincoli, non ne diminuirà l’immensità del valore… piuttosto metterà in evidenza la pochezza di chi ha attentato al suo incessante, supremo splendore.

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