Le criptovalute non sollevano solo problemi a livello politico, ma esse pongono anche numerose questioni giuridiche. Sono beni digitali e si generano e si scambiano esclusivamente per via telematica. Non sono monete, possono costituire solo “valuta”, dal momento che la gestione del danaro costituisce monopolio dello Stato ed ha corso legale, ossia è mezzo di pagamento.
Le criptovalute presentano le seguenti caratteristiche:
a) sono monete private e non pubbliche, in quanto create da un “emittente” privato (c.d. miner). Le criptovalute sono il risultato dell’applicazione del protocollo Blockchain, ossia di una tecnologia che permette la creazione di un registro diffuso, con funzione di certificazione delle transazioni avvenute sulla rete.
Il registro consente a ciascun partecipante di cooperare alla sua creazione e gestione, mantenendo traccia delle transazioni eseguite, poi organizzate in blocchi, sulla propria “macchina”. In particolare, la cooperazione alla creazione del registro avviene attraverso il processo di validazione di ciascuna transazione, che certifica non soltanto la titolarità delle somme o dei beni trasferiti, ma anche la corretta esecuzione della stessa transazione.
Nel processo di validazione, che presuppone il consenso della metà più uno dei partecipanti alla rete, un ruolo particolare è svolto dai miners, ossia di coloro che, attraverso la potenza di calcolo dei loro computers, risolvono il quesito matematico che consente l’esecuzione della transazione. La soluzione del quesito implica dispendio di molta energia elettrica. L’algoritmo è programmato per remunerarla in moneta virtuale. Pertanto, il primo dei miner che trova la soluzione, ove tale soluzione sia confermata dalla maggioranza dei nodi, ottiene in corrispettivo criptovalute.
b) sono, inoltre, come si è accennato, beni digitali perché – essendo formati da una serie di bit– non sono materialmente detenute dall’utente ma sono oggetto di un potere di disposizione, in quanto movimentate attraverso un portafoglio elettronico (c.d. e-wallet, ossia un conto personale), al quale si accede attraverso delle credenziali;
c) possono essere acquistate con moneta legale (avente corso legale nello stato di appartenenza ex 1277 cod. civ.) su una piattaforma di scambio oppure da altri utenti che le posseggono per poi essere detenute sull’ e-wallet da utilizzare per acquisti presso venditori che – essendo titolari a loro volta di un e-wallet – accettano la dazione delle criptovalute oppure da riconvertire in moneta legale;
d) i titolari degli e-wallets nonché le parti delle transazioni – intese come le operazioni di trasferimento delle criptovalute – restano anonimi.
Occorre distinguere le criptovalute dalla “moneta elettronica”. Per «moneta elettronica», il Legislatore europeo (cfr. le dir. 2000/46/CE (c.d. Electronic Money Directive 1) e 2009/110/CE (EMD 2) identifica esclusivamente quegli strumenti di pagamento che incorporano nel proprio supporto, digitale o magnetico, un credito nei confronti di un istituto finanziario o bancario: la electronic money costituisce una semplice rappresentazione elettronica (vale a dire un surrogato digitale) della stessa somma di moneta avente corso legale conferita ai fini della sua emissione.
Stando alla definizione data con la recente Dir. 2018/843/UE del 30 maggio 2018 (in modifica della c.d. IV direttiva antiriciclaggio), costituiscono valute virtuali «una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente» .
Da ultimo, alla luce della Dir. 2018/843/UE, le difformità tra moneta elettronica e valuta digitale non consentono l’applicazione per queste ultime della disciplina europea prevista in materia di moneta elettronica.