Dall’emergenza Covid il mondo dell’Università ha tratto un “insegnamento fondamentale”: la possibilità di “erogare la didattica in maniera molto variegata, sia in presenza che a distanza”, ma per il futuro vedo “una grande mobilità, che permetta ai ragazzi di iniziare gli studi in un luogo e finirli in un altro”, in Italia e nel mondo. E i futuri docenti? Dovranno essere capaci di “dialogare di più con il territorio e con l’impresa”.
Ad affermarlo, in un’intervista all’Italpress, è il ministro dell’Università e della Ricerca, Maria Cristina Messa, che valorizza il ruolo di uno “spazio virtuale” dove fare lezione, scoperto durante le fasi più dure della pandemia, ma guarda ben oltre. Sono infatti tanti i temi all’ordine del giorno nel mondo accademico, ai quali le risorse offerte dal Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) possono dare finalmente una risposta. “Dobbiamo investire nelle persone: abbiamo bisogno di più professori, docenti, ricercatori, tecnici, tecnologi, personale amministrativo, “manager della ricerca””, spiega Messa, perché “molto di questo capitale umano, che si è svuotato nel corso del tempo e che è anche invecchiato, ha bisogno di un rinnovamento, anche per età”. Inoltre “abbiamo bisogno di una progettualità forte”, anche di quella cosiddetta “Blue-Sky che non ha un fine ben determinato ma che dà la possibilità a chi ha idee buone ed è in grado di metterle in atto di essere finanziato”. In questa logica, è importante che il mondo accademico sia “molto più vicino all’impresa e all’industria, con un corpo accademico forte, che si dedichi alla ricerca, certamente insegni, ma anche dialoghi di più con il territorio e le aziende”.
Il rischio altrimenti è quello dell’ormai nota “fuga dei cervelli” italiani all’estero, ma anche quello di una decrescente attrattività dei nostri atenei. Oggi “il sistema italiano soffre di scarsa attrattività, perché nelle università i salari sono molto più bassi rispetto che altrove, e anche le carriere sono spesso poco definibili”. Il coronavirus ha, fra l’altro, alzato un velo sul problema della carenza dei medici: sono troppo pochi quelli che escono dalle università. Ma le soluzioni, per Messa, non devono limitarsi all’ipotesi di rivedere l’accesso a numero chiuso alla Facoltà di Medicina. “Nel corso del tempo dai 10 mila medici di un po’ di anni fa siamo arrivati ai quasi 14 mila”, osserva il ministro. Messa pone l’accento su un altro “fronte aperto. Quello che finora è mancato è stata soprattutto la presenza del medico sul territorio” e questo “dipende più da fattori organizzativi che dalla carenza di medici”.