Un nuovo piano per il Mezzogiorno – più volte annunciato dopo la fine della “Cassa” omonima e mai realizzato – costituisce uno degli aspetti di quello che il presidente Conte ha, con un eccesso di ottimismo, definito il “new deal” italiano. Di questo specifico impegno, un asse è rappresentato dalla messa in opera di una Banca per il Sud. Già ideata dall’ultimo governo Berlusconi e poi abbandonata, la Banca dovrebbe prendere forma sulla base di studi già predisposti dal Ministero per lo sviluppo economico e partirebbe utilizzando una struttura già esistente, quella del Medio credito centrale – banca per il Mezzogiorno passato recentemente da Poste Italiane ad Invitalia e che ha gestito il fondo centrale di garanzia per i prestiti alle piccole e medie imprese.
Un’opzione, questa, non esaustiva per il rilancio del sistema delle imprese che invece soffre forti difficoltà per l’accesso al credito; un’esigenza, questa, cui si pensa di venire incontro sia attraverso la valorizzazione delle ZES “zone economiche speciali”, finora costrette a una vita grama, sia puntando sul risanamento e sull’aggregazione del sistema delle banche popolari ancora operanti al Sud.
Un terzo punto di forza potrebbe essere rappresentato da un ruolo più attivo di Cassa depositi e prestiti che sta già aprendo sedi decentrate nel Mezzogiorno e che potrebbe valorizzare meglio strumenti che già ha, come il fondo per l’innovazione che, ad oggi, è scarsamente utilizzato nelle regioni meridionali.
Sulla realizzazione di questo complesso progetto potrebbe certamente influire l’esperienza professionale del nuovo Ministro per il Sud e la coesione territoriale, che proviene dallo Svimez l’associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno nel quale era ed è vice direttore generale.
Giustamente, egli ha sollecitato un celere e corretto uso dei fondi europei di coesione a disposizione delle regioni del sud, finora utilizzati poco o male.
È, questo, un tema e un nodo che “La Discussione” pone da tempo come fondamentale per ogni politica di sviluppo per l’Italia meridionale: le regioni, più che chiedere di essere soci fondatori della Banca, devono diventare protagoniste di un tempo nuovo per la spesa dei fondi comunitari, presto e bene.