Il co-fondatore di “Ethereum”, seconda criptovaluta dopo Bitcoin afferma che le criptovalute potrebbero svolgere un ruolo molto importante contro un regime talebano “obsoleto” in Afghanistan, al 20° posto su 154 Paesi per l’adozioane di queste monete virtuali, data la centralità dei traffici di stupefacenti in quell’area.
Ma siamo sicuri che invece, le criptovalute non possano essere d’aiuto al regime? In Afghanistan c’è scarsità di mezzi finanziari: chiusura delle banche, limiti alla liquidità per le famiglie, blocco di finanziamenti ed aiuti dall’estero. Più del 40% del PIL è dato dagli aiuti esteri, e le riserve valutarie detenute dagli Usa sono congelate.
Sono ripresi i trasferimenti di moneta attraverso i money transfer, autorizzati dall’America solo se provenienti dalle famiglie uscite dal Paese verso i loro congiunti rimasti invece in Afghanistan. La rete dei soggetti intermediari che operano nel settore dei trasferimenti di valuta è più che controllata nel nostro Paese, e ormai in Europa, per le leggi contro il riciclaggio ed il finanziamento del terrorismo. L’allerta è già stato rinforzato dalle nostre Autorità di settore e da quelle Ue.
Un faro sulle charities
Ma tutto ciò potrebbe non bastare per evitare di far giungere denaro ai talebani, che continueranno a seguire canali informali, prevalentemente utilizzati già in passato per il traffico di droga. Quest’ultimo ad oggi costituisce ancora la principale fonte di entrata, dopo gli aiuti bloccati, ormai ufficialmente “dichiarata” dopo attenti studi dell’antiterrorismo nostrano, americano ed europeo.
Una particolare vigilanza andrà attuata sulle charities, le organizzazioni caritatevoli, spesso utilizzate come paravento per scopi tutt’altro che filantropici.
La “tentazione” delle criptovalute ci sarà eccome. Esse vanno a costituire la “moneta alternativa” che, per definizione, taglia il circuito ufficiale dei pagamenti interni e transfrontalieri.
Anonimato e traffici nel darkweb
Più che la privacy è garantito “l’anonimato”, e il dark web è pieno di offerte sia di wallet a basso prezzo da utilizzare per i propri “risparmi”, sia per i prestiti, ma soprattutto per attività illecite. Ci si può vendere e comprare di tutto (anche identità digitali ed estremi di carte di credito e conti correnti), in quello che è un vero e proprio “baratto” con gli strumenti di pagamento alternativi che sono diventati Ethereum e i suoi simili (circa un migliaio ad oggi).
Per questo non sono affatto d’accordo sul ruolo “antitalebano” disegnato per le cryptocurrencies dal fondatore di Ethereum.
Anzi, questi mezzi valorizzeranno quelle componenti del terrorismo e, comunque, dell’autoritarismo, nelle loro capacità – già dimostrate oggi come nel passato– di resistenza contro quello che definiscono lo “strapotere” della finanza internazionale.
Le investigazioni finanziarie e il ruolo dei presìdi antiriciclaggio e contro il finanziamento del terrorismo previsti dalle leggi americane e dalle direttive europee, sotto l’egida del Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale, saranno il vero antidoto – come affermo da tempo – contro un rafforzamento del terrorismo e dell’integralismo in questo momento storico.
Urgenti regole internazionali sulle criptovalute
Urge più che mai su questo tema la predisposizione di regole univoche, non solo a livello Ue, ma prima a livello internazionale. La Bce, il Fmi, la Banca Mondiale, l’Onu, e altri organismi ancora, hanno tacciato di “abusivismo” i produttori di criptovalute, nonché di pericolosità questi “lavorati” provenienti da pc e piattaforme sparse per il mondo senza alcuna regolamentazione.
È il momento di raccogliere l’appello, così come quello espresso dal Presidente della Repubblica per una difesa comune ed una politica comune anticrisi dell’Unione europea, che può davvero fare la differenza nello scacchiere internazionale che si va disegnando nel post-Kabul.
* Direttore del Centro di ricerca sul Finanziamento del Terrorismo (crstitaly.org)