sabato, 22 Febbraio, 2025
Il Cittadino

Un “Tribunale Dreyfus” per l’Afghanistan

Avevo deciso di restare lontano dalla vicenda afghana. Troppo facile dire che gli americani hanno sbagliato tutto; ma anche troppo superficiale.

Ne parlo perché mi ha colpito l’appello degli avvocati afghani, che si dicono letteralmente braccati casa per casa, impotenti, vittime predestinate del nuovo regime.

In politica estera le variabili ed i dati che non vengono portati a conoscenza della pubblica opinione, ma rimangono segretati, a disposizione soltanto di quei pochissimi che veramente devono decidere, sono tantissimi. Non valgono qui le regole delle democrazia, né quelle del diritto, ma la “ragion di Stato”. Finanche i giudici – addirittura da noi – trovano in essa un ostacolo insormontabile: opposto il segreto di Stato, anche l’azione penale deve fermarsi. Ci sono ovviamente delle regole (legge n. 124/2007), ma il rispetto e l’applicazione delle stesse non sono nella pratica verificabili: salvo un complesso giudizio di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale.

Le implicazioni, poi, del ritorno al potere dei talebani e dell’applicazione integralista della Shariʿah, sono infinite e dalle tante sfaccettature su tutto l’equilibrio internazionale, che ne esce sconvolto.

Non ho, quindi, nulla da dire sulla vicenda in sé, non sapendo neppure da dove cominciare un’analisi e potendo solo affermare banalità. Neppure ho un’idea sull’opportunità di riconoscere il nuovo assetto. A pelle sono contrario, ma non ho, giustappunto, alcun elemento reale di valutazione.

L’accanimento contro gli avvocati non è una novità, né una originalità della storia.

Da anni, sulla parete a lato della mia scrivania, in una piccola cornice di radica, vi è una frase che Shakespeare fa dire, subito dopo che la banda di volgari rivoltosi avevano preso il potere, a Dick, il macellaio di Preston, nell’Enrico VI (parte II, c. 594, IV, II, 68-79): «The first thing we do, let’s kill all the lawyers» («La prima cosa che dobbiamo fare è ammazzare tutti gli avvocati»).

La tengo lì, tra vecchi ricordi di mio nonno avvocato, una foto della casa di famiglia a Locri, ed una poesia per me fonte sempre di emozione. Raramente qualcuno mi chiede perché sia lì. Per lo più, se conosce l’inglese e comprende la frase, sorride, pensando ad una bizzarria, ad una originalità dell’avvocato Marvasi. Ma il vero significato, la reale portata sono diversi. Dick il macellaio era un seguace del ribelle Jack Cade, il quale pensava che se fosse riuscito a far venire meno l’ordine pubblico, avrebbe potuto diventare re. Shakespeare, nel far pronunciare quell’invettiva contro gli avvocati ha, al contrario dell’apparenza, inteso muovere un complimento alla categoria, individuata – qual è – come baluardo della libertà, della civiltà e del diritto. Persone da eliminare, se si voleva che a governare fosse la barbarie e non il diritto.

Il tempo che stiamo vivendo è epocale.

Nel ventennio che proprio in questi giorni matura dall’attacco alle Twin Towers di New York – per me un vero e proprio spartiacque – il mondo occidentale è profondamente cambiato.

Siamo tutti meno democratici; tutti meno liberi. Senza rivoluzioni abbiamo tutti rinunciato a talune nostre libertà, sull’altare – Dio vero o idolo, non lo so – della nostra sicurezza. Una ripresa del terrorismo che certo l’odierna vittoria dei talebani alimenterà, ci farà rinunciare ad altre libertà.

Il sistema giustizia sarà una delle prime istituzioni che verranno rimesse in funzione in Afghanistan: perché com’è successo qualche anno fa in Turchia dopo il fallito colpo di Stato contro Erdogan, in nome della giustizia si sono tolti di mezzo decide di migliaia di giudici, avvocati, giornalisti e politici, considerati avversari. Perché – l’ho già scritto in passato e lo ripeto – qualsiasi regime dittatoriale, con la giustizia non autonoma, se si imbatte in un Gesù che gli dà fastidio, lo porta davanti a un giudice servo e lo fa condannare alla crocifissione.

Sarà così anche in Afghanistan: faranno fuori i giudici che non si impegneranno ad applicare la Shariʿah, gli avvocati che invocheranno la prevalenza del diritto sulla legge, ed imporranno il loro oscurantismo medievale.

È l’allarme lanciato dalla ministra Cartabia: «I giudici, i pubblici ministeri e gli avvocati afghani rischiano attualmente di pagare con la vita per aver contribuito all’opera di giustizia e alla creazione dello Stato di diritto».

Allarme che tutti ci deve spaventare, perché c’è la più evidente riprova, con la vicenda afghana, che la legge non coincide col diritto, che applicando le leggi lì vigenti, si può condannare anche una giovinetta, che semplicemente e naturalmente vorrebbe soltanto scegliere il suo sposo.

Non credo che l’Occidente farà nulla: povero popolo afghano, che si arrangi; mica l’UE potrà interferire nelle decisioni della loro magistratura…

Figuriamoci i singoli cittadini! Interferire no, però evidenziare e denunciare la barbarie, sì.

Lancio un’idea: rinverdiamo il Tribunale Dreyfus – l’organismo voluto e ideato dal compianto amico Arturo Diaconale, storico direttore de “L’opinione” e componente del CdA RAI – per la sensibilizzazione dell’opinione pubblica in difesa dei cittadini dai casi di malagiustizia e denunciare il progressivo avvilimento della cultura del diritto. Facciamone un’associazione internazionale, con “controprocessi” non limitati all’Italia e con giudici internazionali.

Consentitemi di rivolgermi direttamente a Barbara Alessandrini che dell’Associazione Dreyfus fu la direttrice ed all’amico Federico Tedeschini, col quale abbiamo fatto più volte parte del “Tribunale Dreyfus”, e che condivide con me l’onore e l’onere del Comitato di redazione di questo quotidiano.

Ma l’appello è rivolto a chiunque abbia a cuore, sempre e ovunque, diritto e libertà.

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