Sulla commozione in diretta di Joe Biden c’è chi ironizza, chi preconizza e chi apprezza.
I primi parlano di “lacrime di coccodrillo”, tardive dopo gli errori commessi nel ritiro precipitoso.
I secondi pensano già alle dimissioni del Presidente e all’arrivo di Kamala Harris, che sarebbe la prima donna ad entrare nella Casa Bianca non come first lady.
Chi apprezza, invece, vede l’empatia dell’uomo più potente del mondo che soffre con il suo popolo.
Joe Biden è politico di lungo corso e ha le spalle larghe. Ha sempre avuto riserve sulla continuazione della guerra in Afghanistàn. Si è trovato ad attuare gli accordi di Doha firmati da Trump, una sorta di resa incondizionata degli Usa ai Talebani. I militari gli avevano detto che l’esercito afgano avrebbe potuto resistere parecchi mesi. La Cia era stata molto più prudente e aveva previsto il collasso in tempi rapidi.
Nessuno poteva immaginare che in una settimana tutto il potere sarebbe tornato in mano ai Talebani. Errori su errori. Nello smantellamento della presenza americana era stata già chiusa la base di Baghram che invece avrebbe potuto rappresentare un’alternativa sicura e ordinata per l’evacuazione di militari, civili e collaboratori.
Biden non ha sbagliato da solo e Trump non dà prova di responsabilità nazionale nel colpire il suo avversario proprio quando il Paese avrebbe bisogno di sentirsi unito di fronte all’ennesimo massacro.
Dopo le lacrime però, Biden deve mostrare il piglio deciso, sicuro, ferreo tipico di chi ha il comando supremo delle forze armate e, nel suo pugno, la sicurezza e la dignità della nazione. Tocca a lui adottare le prossime decisioni difficili, dure. Finita l’evacuazione da Kabul, gli Stati Uniti dovranno prepararsi a ricordare l’11 settembre con lo spirito di chi a testa alta è e sarà sempre in prima fila nella lotta al terrorismo e in difesa di libertà e democrazia. Non è tempo di debolezze e di autoflagellazioni per l’America.