Se il monologo interiore avesse un suono sarebbe indubbiamente quello del cicaleggio d’estate; incessante e fastidioso, ma poi ci fai l’orecchio. Le cicale che si grattano le ali l’una con l’altra come ci si gratta la fronte mentre il flusso dei pensieri si sviscera, quasi nell’atto di scavare un pozzo: graffiando la terra, palata dopo palata con il sole divertito spettatore, che cerca di entrare in quell’anfratto – un po’ come le parole degli altri dall’esterno che interrompono quel groviglio di coscienza. Erich Heller nel 1965 descrisse attraverso la sua opera Lo spirito diseredato, l’epoca della prosa: l’ultima delle quattro goethiane dello spirito umano; quella ch’egli stesso stava vivendo, caratterizzata dalla scissione tra fede e conoscenza come tra pensiero e poesia. Una divisione il cui fulcro trova spazio nella profonda crisi di valori etici del periodo, nel quale l’individuo quasi spento (ma non del tutto) cerca di rianimare sé stesso, la propria immagine ricercando spasmodicamente di recuperare un rapporto reale tra fede, conoscenza e poesia.
LA RASSEGNAZIONE DELLA RICERCA
Ecco, quella ricerca che oggi, forse – azzardo, superata l’epoca della prosa – non c’è neanche più. La perdita del valore è accettata, quale fatto ormai assodato, irrimediabile: assorbito dallo spirito comune. Non vi è più dunque quel tentativo di recupero, e nemmeno forse quello di rinnovamento in sé. Goethe aveva vissuto la totalità, l’ultimo momento di totalità: di sostenibilità, potremmo dire, per accostare tale concezione ad un termine moderno. E condannava aspramente la scissione tra poesia, conoscenza e fede ravvisando nella scienza del suo tempo una pericolosa “astrazione aberrante”. Heller riprende Goethe dunque insieme con Burckhardt, Nietzsche, Rilke, Thomas Mann, Kafka, Kraus cogliendo in maniera costante il nesso tra filosofia e letteratura, per evidenziare la crisi del nostro tempo.
LA TRASFORMAZIONE DELLA CRISI OGGI
La crisi che nel tempo attuale – che non può più, ritengo, in alcun modo identificarsi negli anni 60 del novecento – si è trasformata in volontà di regressione ma senza radici: in uno stato di rassegnazione che si rifiuta di progredire, di ricercarsi nello sforzo di cambiamento che impari dal passato e si migliori nel futuro; che rivoglia acquisire i valori perduti e l’unione di queste ricchezze in un unico nucleo, per costituire una visione complessiva: una weltanschauung globale appunto, che unisca le forze e non che le divida come in settori aridi di un catalogo, e che poi finiscano con l’esaurirsi: proprio perché interdetti nella possibilità di alimentarsi l’uno con l’altro.
I SINGOLI PERISCONO
I singoli che da soli periscono e si lasciano andare nell’inedia della rassegnazione, costituiscono forse e amaramente una nuova differente epoca – rassomigliante sì alla perdita di senso e valore della vita descritta dallo stesso Heller ma molto differente dalla quarta epoca della prosa, poiché priva della ricerca di recuperare il senso perduto. Un’epoca la nostra probabilmente vicina a quel flusso, al monologo interiore che sbatte nella mente come il cicaleggio – che si perde e non sa più tornare né ricostituirsi, che non possiede nemmeno la forza spirituale per ricercare sé stessa: dentro quello spirito diseredato, delle sue radici, del suo avvenire.