Provare per credere. Fare impresa, mettersi in proprio è una delle sfide più affascinanti e complesse che ci siano oggi in circolazione. Metti poi la sfiducia di Millennials e Generazione Z verso i grandi marchi e quindi la crescente domanda per progetti alternativi insieme a opportunità di finanziamento innovative come il crowdfunding, per esempio, passando per la presenza di città come Milano nelle classifiche delle città più attrattive per le startup d’Europa e gli ingredienti sembrano esserci davvero tutti. Spesso a portata di click.
Tuttavia, le cose sono un po’ più complicate di come possono sembrare a prima vista se, stando a recenti statistiche, meno dell’un percento delle startup riesce poi a sopravvivere. Dall’idea giusta al team vincente passando per costi non pianificati, scelte strategiche fuori fuoco e imprevisti vari si fa presto a passare dalla parte sbagliata del campo.
Eppure, ci dice il Global Entrepreneurship Network, l’economia legata alle startup continua a crescere creando un giro d’affari pari a circa 3 triliardi di dollari di valore nell’ultimo triennio, segnando così un incremento pari a oltre 20 punti percentuali nello spazio degli ultimi cinque anni.
In questa sfida l’Italia resta indietro anche se, giurano gli esperti, lo scenario è in continua evoluzione e lascia ben sperare per il futuro. A ricordarcelo è in una recente intervista uno dei decani del venture capital italiano, Gianluca Dettori, che punta il dito contro il ritardo culturale dovuto alla giovane età del nostro sistema.
In altri termini, se è vero che 1 startup su 12 fallisce è altrettanto vero che gli startupper finiscono per diventare imprenditori seriali che, fallimento dopo fallimento, maturano nel tempo competenze complesse e molto specifiche su come affrontare le diverse fasi di sviluppo del progetto imprenditoriale: dal modello di business fino alla raccolta di capitali passando la gestione dei talenti, per intenderci. Questo produce una stratificazione delle competenze altamente specializzata ed estremamente competitiva che in Italia manca ancora. In atri termini, si tratta di contesti dove la figura del tuttofare non può esistere.
A questo, prosegue Dettori nella sua disamina, va aggiunta l’opportunità offerta dalla presenza di grandi aziende con le quali lo startupper possa interagire. E in questo caso, richiamare alla memoria l’ecosistema della Silicon Valley o di altri eldorado imprenditoriali come Londra, Parigi o Berlino, rende piuttosto bene l’idea. Come ha infatti dimostrato un noto studio della Copenaghen Business School, la forza delle startup risiede oltre che nella loro capacità di incidere nel lungo periodo sullo sviluppo economico del territorio, come testimoniano i numerosi progetti attivi a livello regionale nel nostro Paese, anche nel saper produrre innovazione che a loro volta solo le grandi aziende possono e sono brave ad assorbire.
Quindi l’alleanza con i grandi nomi del mercato risulta essere un elemento determinante per risolvere l’equazione e permettere al sistema di maturare. In questo senso, dunque, meritorie sono le iniziative come la Food Policy Hot Pot, un progetto di open innovation promosso da Cariplo Factory in collaborazione con Intesa Sanpaolo Innovation Center con l’obiettivo di Innovare il sistema alimentare di Milano partendo dai bisogni di innovazione dei protagonisti del mercato coinvolti nel progetto, come Autogrill, Carrefour Italia, Coop Lombardia e So.Ge.Mi, restando in linea con le priorità definite dalla Food Policy della Città di Milano. Se sei uno startupper e ti occupi di food, hai tempo fino al 22 Ottobre 2019 per presentare la tua candidatura. Buona fortuna.