mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Il Cittadino

Democrazia, élite ed eletti

La sensazione di questi ultimi caldissimi (in ogni senso) giorni pre-agostiani è che il Governo Draghi sia ad una svolta.

I partiti appaiono ringalluzziti dalle concessioni che il Governo ha dovuto fare loro sulla riforma della giustizia e sembrano gioire di alcune incertezze, specialmente comunicative, sulla “quarta ondata” della pandemia da Covid-19 e sulle conseguenti discussioni sul Green pass.

Non credo che ciò porterà ad una crisi dopo l’estate, ma è certo che l’esecutivo non marcerà più secondo i canoni della sua prima fase, nella quale qualche strillo dei partiti si perdeva nel vuoto, ignorato da chi doveva decidere e raccolto soltanto dai militanti di turno, senza neppure essere rilanciato.

Salvo improbabili segnali elettorali fortissimi ed univoci nelle consultazioni locali, ma significative, che si terranno in autunno, nessun partito, difatti, avrà la capacità di minacciare la partecipazione quasi totalitaria al potere: ciò che è la forza, ma anche la debolezza del Governo Draghi.

Ma non sono un analista politico, quindi, la finisco qui.

Questa mia sensazione, però, mi ha dato lo spunto per alcune riflessioni sulla democrazia. Beninteso, non per metterla in dubbio, convinto come sono che sia l’unica insostituibile forma di governo, nell’ambito di uno Stato di diritto. Quanto per esaltarla, sempre e comunque: anche quando, come accade in questi giorni, il meccanismo democratico porta a soluzioni diverse da quelle originalmente volute.

Nella sostanza la situazione emergenziale ha “consigliato” il nostro Paese a dotarsi (e non è la prima volta, succede sempre più spesso, da Ciampi in poi) di un governo rappresentato dalle élite e non dagli eletti. Un anagramma con l’aggiunta di una lettera (la “t”) che fa una differenza abissale.

Sennonché le regole democratiche impongono – ed è una fortuna, un principio da difendere ad ogni costo – che neppure costoro abbiano “carta bianca”.

Così il processo democratico interviene e corregge.

Spesso ciò dispiace, ma è la regola della democrazia: e se si vuole affermare una idea bisogna creare consenso sulla stessa.

Altrimenti occorre sottostare anche a soluzioni che non ci piacciono.

Il mio grido di dolore sul quasi stravolgimento della Riforma Cartabia, ad esempio,  l’ho già lanciato domenica scorsa. Non voglio ripetermi ma è opportuna qualche ulteriore considerazione.

Innanzitutto spiegare perché parlo di “quasi stravolgimento”, quando i più accaniti oppositori della riforma diranno che si è trattato soltanto di una piccola concessione per evitare che i reati di mafia e di terrorismo possano restare impuniti (reiterando implicitamente la legislazione “d’emergenza” nata circa mezzo secolo fa).

È uno stravolgimento perché muta l’idea base della riforma, che era basata sulla presunzione di innocenza, introducendo per l’accusa concernente quei reati, la presunzione di colpevolezza. È questa idea che è alla base del giustizialismo e di quelli che vorrebbero che la prescrizione non operasse mai. Dimenticando (o ignorando, più probabilmente) che la prescrizione è proprio, al contrario, il fondamento della certezza del diritto.

L’eccezione voluta dai partiti giustizialisti mina alla base, quindi, l’ordinamento che ne deriva: che, ammettendo la presunzione di reità per quelle situazioni, può stabilirla anche per altre fattispecie accusatorie.

Ora, sotto un profilo squisitamente tecnico, nessuno sosterrà la presunzione di colpevolezza. Ma gli operatori del diritto che optano per la soluzione giustizialista indicheranno argomenti ben diversi.

Il punto è infatti questo: in democrazia neppure in materie così tecniche – giustizia, profilassi sanitaria – si può governare senza consenso, neppure quando vengono opposte barbarie o scempiaggini scientifiche.

Piaccia o non piaccia dobbiamo tenerci quelli che urlano all’ingiustizia per qualsiasi assoluzione: è una aberrazione , ma se diventano maggioranza diventerà la regola.

Così come nel campo sanitario si dovrà avere rispetto per i “no vax” (razionalmente non li capisco: mi sembrano di più i rischi e gli svantaggi di non vaccinarsi): ma qui il silenzio che tanto è servito al Presidente Draghi per mantenersi una spanna sopra gli altri dovrà lasciare il campo ad una comunicazione chiara, onestà ed efficace: il punto è, forse, la questione più delicata nell’agenda di fine luglio.

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