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Il metodo Draghi: poche parole molti fatti

domenica, 25 Luglio 2021
2 minuti di lettura

Erano bastate tre parole (Whatever it takes) per affondare la speculazione contro l’euro e salvare moneta ed economie dell’Unione. È bastata una parola per definire personaggi come Erdogan e simili (dittatori) per far capire che con loro si deve pur avere a che fare ma sempre a testa alta. E sono bastate poche parole sui vaccini e sul green pass per scatenare un’ondata di prenotazioni e mettere alle corde chi tresca con i no vax.

Il metodo Draghi non è fatto di annunci (faremo, vedremo, decideremo) ma di attento e rapido ascolto, e veloce determinazione nelle decisioni: una volta presa una strada si va avanti con chi ci sta.

Questo metodo non prevede un eloquio contorto, incomprensibile, fumoso e autoreferenziale: pane al pane e vino al vino e pazienza se qualcuno si risente.

Non contempla i ricatti e i giochi delle tre carte: sulle scelte strategiche vuole l’unanimità del Governo altrimenti qualcuno se ne va a casa: o esce chi si astiene, chi vota contro, oppure lui sale al Quirinale e la partita finisce nelle mani di Mattarella.

Un tempo tutto questo sarebbe stato definito in senso spregiativo “decisionismo”. Toccò a Bettino Craxi portare questa croce e se ne fece un vanto.

Draghi non esibisce i muscoli, non alza la voce, parla con un ‘espressione che è un misto di timido sorriso e di intransigente severità.

 

Il nulla eterno della vecchia politica

Non è che Draghi venga dall’iperuranio. La politica italiana la conosce bene. È stato Direttore generale del Tesoro e Governatore della Banca d’Italia e con la politica ha avuto a che fare tutti i giorni. Non gli devono insegnare com’ è fatta.

Conosce le sue liturgie barocche, il doppio o triplo senso della parole che vengono dette e non dette, le contorsioni dei compromessi che durano meno del tempo necessario per costruirli. Dopo la parentesi da top manager alla Goldman Sachs, alla BCE per 9 anni ha dovuto vedersela con Governatori di Banche centrali che si sentivano più importanti del loro Cancelliere o Primo ministro. E ha saputo tener testa lavorando sodo e mantenendo la barra dritta. È quello che continua a fare a Palazzo Chigi.

 

La missione di Draghi

Chiamato a tranquillizzare l’Europa e i mercati sul buon uso dei 200 miliardi che ci sono stati promessi, Draghi vuole raggiungere l’obiettivo: mettere l’Italia in condizione di ricevere e spendere bene quei soldi nei tempi previsti. I partiti che lo sostengono bofonchiano perché non vengono consultati, un attimo si e l’altro pure su tutto, nomine pubbliche incluse. Lo sa ma non se ne fa un problema. Il tempo è poco, le emergenze tante. Draghi, insomma, sa che deve andare veloce. Mette nel conto anche che potrebbe cadere da un momento all’altro, ma questo gli importa poco. Chi gli toglierà la fiducia farà un pessimo regalo a se stesso e all’Italia intera. E gli italiani ricorderanno.

Il nostro Paese è stato fortunato ad avere tra le sue “riserve della repubblica” un campione mondiale come Draghi nel momento più drammatico della sua storia, dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Deve essere proprio destino, di quello buono. Capitò la stessa cosa nel periodo 1948-1953 con il tandem De Gasperi – Einaudi, due giganti delle istituzioni e della politica. Presero l’Italia in frantumi e avviarono la sua trasformazione in potenza mondiale.

Vada avanti Presidente Draghi. Tutto il resto è noia.

Giuseppe Mazzei

Filosofo, Ph.D. giornalista, lobbista, docente a contratto e saggista. Dal 1979 al 2004 alla Rai, vicedirettore Tg1 e Tg2, quirinalista e responsabile dei rapporti con le Authority. Per 9 anni Direttore dei Rapporti istituzionali di Allianz. Fondatore e Presidente onorario delle associazioni "Il Chiostro - trasparenza e professionalità delle lobby" e "Public Affairs Community of Europe" (PACE). Ha insegnato alla Sapienza, Tor Vergata, Iulm e Luiss di cui ha diretto la Scuola di giornalismo. Scrivi all'autore

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