sabato, 16 Novembre, 2024
Politica

Xi e Putin conquistano l’Africa. Silenzio dell’Europa e dell’Italia


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Chi si meraviglia della sempre più forte presenza della Cina in Africa è un ipocrita. E chi sottovaluta  la crescente presenza  anche della Russia in quel Continente, davvero è  superficiale. Da più di un decennio Pechino ha puntato i suoi obiettivi sul Continente, una gigantesca miniera di materie prime e di risorse di rilevanza essenziale per le tecnologie dell’era digitale e la Russia non è stata con le mani in mano.

 

Mentre gli Stati Uniti pensavano ad altro, e con Trump si ripiegavano su se stessi, mentre l’Europa vagolava senza una politica estera comune e senza una visione strategica del Continente che le è più vicino, i cinesi aumentavano l’interscambio con l’Africa, diventando il primo partner commerciale con 185 miliardi di dollari. Pechino ha investito sempre di più nell’Africa arrivando a  5,4 miliardi di dollari nel 2018; 10 mila aziende cinesi hanno messo solide radici in quei Paesi. La Cina ha utilizzato la strategia del soft power per estendere la sua sfera di influenza su gran parte degli Stati africani. Pechino sa ben tutelare i propri interessi e ha creato una forte dipendenza economica di quei governi facendo leva anche sull’enorme indebitamento che essi hanno accumulato nei confronti della Cina: se non potranno ripagarlo in tutto o in parte la Cina, come contropartita, esigerà dai governi africani in difficoltà di essere trattata come principale Paese fornitore.

 

XI, SOFT POWER MA NON SOLO

Gli occhi di Pechino si sono concentrati in particolare nell’area del Corno d’Africa.

Esso è, nell’ambito della Belt and Road Initiative, uno snodo cruciale per l’accesso al canale di Suez. A Gibuti la Cina ha posto la sua prima base militare all’estero e controlla con tre società China Merchants Group, Dalian Port Authority e IZP la zona di libero scambio. Nello stretto di Bab el Mandeb transita il 50% del petrolio importato dalla Cina e il 40% del traffico marittimo mondiale La Cina si è  ben posizionata per controllare il Golfo di Aden e contrastare la pirateria contro le sue navi inviando suoi squadroni sulle coste della Somalia.

Per non essere da meno, Mosca ha deliberato di costruire una base navale sulla costa sudanese del Mar Rosso. E nessuno se ne preoccupa.

L’Etiopia è stata da sempre nel mirino cinese. Con Addis Abeba, Pechino ha un accordo di cooperazione militare da 16 anni. Pur non essendo questo Paese ricco delle materie prime che fanno gola ai cinesi l’Etiopia è ritenuto uno snodo cruciale: è sede dell’Unione Africana, ha relazioni importanti  con il Sudan e l’Egitto a causa del controllo esercitato sul Nilo Blu che genera l’80% delle risorse idriche per questi due Paesi. La Cina costruisce dighe, strade e ferrovie per l’Etiopia e mira a trasformare i 100 milioni di etiopi in un mercato di sbocco delle sue merci.

Analoga strategia la Cina ha sviluppato con la Somalia e il Sudan. In Somalia Pechino ha profuso ingenti investimenti infrastrutturali ma, soprattutto, ha costruito una testa di ponte per la diffusione delle sue tecnologie di telecomunicazioni, Huawei in testa.

Il Sudan è di importanza rilevante per la Cina perché, dopo l’Angola , è il secondo Paese africano fornitore di petrolio coprendo il 7% del fabbisogno cinese. Su 15 compagnie petrolifere straniere operanti in Sudan, bel 13 sono cinesi.

Ma la Cina guarda anche alla Repubblica Centrafricana un Paese poverissimo, ma ricchissimo di oro e diamanti. L’oro fa molta gola ai cinesi. Secondo la denuncia di un missionario italiano, Padre Aurelio, 4 aziende cinesi avrebbero deviato il corso del fiume Ouhan per aprire 15 cantieri di estrazione dell’oro.

 

PUTIN L’AFRICANO

In questo Paese i cinesi sono in buona compagnia. La Russia, che ha grande esperienza nel settore minerario dei diamanti opera nella Repubblica centrafricana in posizione di assoluto privilegio. Molti russi circolano da quelle parti, e non sono certo turisti. Secondo il sito Greenreport.it un migliaio di istruttori militari forniti dalla Wagner gestiscono la sicurezza di istituzioni e addestrano l’esercito locale.

La Repubblica centrafricana ,sotto embargo di armi dal 2013, è quindi diventata un altro snodo in cui le strategie di Russia e Cina convergono senza confliggere. Non si tratta di sfruttare materie prime indispensabili per l’economia di un Paese  ma di  impadronirsi di oro e diamanti, beni che nelle mani di stati sovrani non si capisce a cosa possano servire.

 

ITALIA SILENTE

In questo scenario che fa l’Italia? L’ex viceministra degli esteri Emanuela Del Re, ora rappresentante speciale dell’Europa per il Sahel, ha affermato che “l’Africa ha sempre più voglia d’Italia”. Ma cosa offre l’Italia all’Africa? Ha una strategia che vada oltre singole esperienze di occasionale cooperazione senza una visione  di lungo periodo? E cosa fa il nostro Paese davanti all’espansionismo russo e cinese?

Interrogativi sui quali sarebbe opportuna una risposta non retorica ma consapevole dei rischi che comporta aver abbandonato il Continente africano alle mire di due super potenze animate da neocolonialismo e strategie aggressive e non certo da spirito umanitario e di cooperazione.

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