venerdì, 22 Novembre, 2024
Società

Giustizia, un errore la separazione carriere

“Non vorrei che una netta distinzione fra giudici e pm possa far cadere questi ultimi nella trappola culturale di essere solo una parte che deve incastrare le persone non inseguire la verità, di considerare una sconfitta l’assoluzione dell’accusato”. Michele Del Gaudio, ex magistrato anticorruzione, già deputato, membro della Commissione parlamentare d’inchiesta sul terrorismo in Italia, oggi si dedica esclusivamente alla riflessione e al dialogo con i giovani, in particolare nelle scuole, ove spesso vengono adottati i suoi libri. Ma la scelta di abbandonare la scena politica, non gli impedisce di esprimersi su argomenti di interesse pubblico.

Michele Del Gaudio

Condivide la proposta di separare le carriere di giudici e pubblici ministeri?
“Sono nettamente contrario. Ma vorrei cominciare col chiarire che la giustizia è amministrata dalla magistratura, che comprende i giudici e i pubblici ministeri, i cosiddetti pm. I primi decidono chi ha ragione fra cittadini che litigano – ad esempio per motivi condominiali – oppure condannano o assolvono chi è accusato di aver commesso un reato: un furto, una rapina, una truffa. I secondi indagano e accusano chi viola legge. La Costituzione li ha voluti uniti, indipendenti, imparziali, con una cultura comune basata sulla ricerca della verità. Infatti per legge il pubblico ministero deve raccogliere non solo le prove a carico dell’imputato per chiederne al giudice la condanna, ma anche quelle a favore per scagionarlo (articolo 358 del codice di procedura penale)”.

Per separare le carriere occorre una modifica costituzionale?
“Sì! E precedenti esperienze dimostrano che il popolo italiano è molto legato all’impianto elaborato da 556 donne e uomini nel 1946-47. Anche perché ha compreso che è il risultato di pesi e contrappesi, con il pericolo che eliminando l’uno o l’altro possa frantumarsi l’armonia complessiva”.

Molti però sostengono che la comune organizzazione, l’agevole passaggio dalle funzioni giudicanti a quelle accusatorie, la frequentazione anche fuori dalle aule possono determinare rapporti fra giudice e pubblico ministero che spesso conducono a sentenze appiattite sulle richieste dell’accusa.
“Che raramente qualche giudice possa farsi condizionare dall’amicizia con il pm è possibile, ma si tratta di un comportamento sbagliato da punire; senza dimenticare che il giudice può farsi influenzare anche dall’amicizia con un difensore. Insomma siamo nella patologia! Come nel caso di corruzione, favoritismo, impreparazione. Nella fisiologia il giudice decide onestamente”.

La sua esperienza personale ha confermato la sua tesi?
“Certo. Ho svolto sia funzioni giudicanti che inquirenti e devo dire che ne ho tratto grande giovamento, come penso tutti i magistrati! Giudicare – in particolare in collegio, cioè assieme ad altri giudici – consente di sviluppare equilibrio, umiltà, buon senso, preparazione, professionalità. Essere pubblico ministero abitua alla scelta rapida, alla concretezza, alla necessità di trarre conclusioni realistiche e di non trincerarsi dietro dubbi irragionevoli, alla capacità di discernere la prova – univoca come una testimonianza, un documento – dall’indizio – una coincidenza, un evento con più ipotesi interpretative. Il giudice che ha fatto il pm è più completo e viceversa”.

Ma allora perché si insiste tanto sulla divisione?
“La motivazione è politica non giudiziaria: il vero obiettivo è la subordinazione del pm al governo, come accade in altri Paesi, per pilotare la sua attività: forte con i deboli, debole con i forti; a favore dei propri interessi, contro quelli degli avversari”.

È un po’ forte quello che dice…
“Un momento, si tratta solo di opinioni, non pretendo di avere ragione! E poi c’è un altro motivo: non vorrei che una netta distinzione fra giudici e pm possa far cadere questi ultimi nella trappola culturale di essere solo una parte che deve incastrare le persone non inseguire la verità, di considerare una sconfitta l’assoluzione dell’accusato. Le funzioni di pubblico ministero sono essenziali per la democrazia, non possono essere ridotte a partite personali in cui l’imperativo è vincere, non realizzare la giustizia”.

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