Se la burocrazia non vuol sentirsi umiliata ed espropriata del proprio ruolo deve pretendere lo sfoltimento di norme e procedure e una radicale modifica della sua organizzazione, formazione e valutazione
Quanto ci piacerebbe sentire la famosa frase di Mister Wolf di Pulp Fiction sulla bocca, mite, di un membro della pubblica Amministrazione!! E invece dobbiamo leggere che “Modernizzare il Paese significa, anzitutto, disporre di una Pubblica Amministrazione efficiente, digitalizzata, ben organizzata e sburocratizzata, veramente al servizio del cittadino”. Questo scrive solennemente il PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza) ammettendo che la nostra burocrazia non è efficiente, non è digitalizzata, non è sburocratizzata e non è proprio al servizio del cittadino.
Sarà per questo che i governi ricorrono a commissari straordinari, task force, superconsulenti e manager esterni alla PA sperando di ottenere per via straordinaria ciò che dovrebbe essere di normale amministrazione. Invece di eludere il problema i politici dovrebbero prenderlo di petto con una radicale rivoluzione della PA, dopo le riforme di Brunetta (2009) e di Madia (2015) i cui frutti ancora non si vedono.
Di chi è la colpa? Un po’ di tutti. Parlamento e Governo devono sfoltire la selva selvaggia di norme, regolamenti e procedure che soffocano qualsiasi iniziativa dei cittadini, delle imprese e del governo stesso. Tutto diventa difficilissimo perché la PA deve rispettare un groviglio di regole che spesso offrono al burocrate che non vuole assumersi responsabilità l’alibi per “lavarsene le mani”.
Invece di fare inutili convegni e forum il Governo costituisca una commissione mista composta da esperti burocrati e da rappresentanti di tutte le categorie produttive e delle principali associazioni di cittadinanza. Nel giro di 3 mesi questa commissione potrebbe elencare le procedure che non servono, proporre semplificazioni concrete e indicare le norme da cancellare o modificare. Il Governo potrebbe raccogliere tutte queste proposte in un maxi decreto-legge e vararlo rendendo esecutiva una riforma di fatto della PA.
Ma c’è una responsabilità tutta interna all’amministrazione. E si chiama autoreferenzialità. La burocrazia è gelosa delle sue competenze, chiusa in sé stessa, poco propensa a dialogare con i rappresentanti di interessi per timore di esserne condizionata, spesso scrupolosissima nel rispettare virgole e punti e virgole ma incurante dei risultati, arroccata in mille cittadelle fortificate, ciascuna sovrana nel suo territorio e tutte distratte dal loro vero compito: risolvere problemi, non crearli trincerandosi dietro la frantumazione delle competenze.
Quando un ufficio viene investito di una questione deve farsene carico fino a quando non è stata risolta, promuovendo qualsiasi iniziativa e collaborazione con altri uffici per arrivare al risultato.
La burocrazia, dai livelli apicali fino all’ultimo usciere, dovrebbe essere valutata, da soggetti esterni alla PA esperti nel misurare le performance sulla base dei risultati concreti ottenuti e non del mero ossequio alle norme e alle procedure.
Se, per fare un esempio concreto, in una scuola Statale sulla Via Nomentana di Roma ci sono 142 bambini al freddo e al gelo da giorni perché è stato sospeso il riscaldamento per un rimpallo di competenze tra uffici di diverse istituzioni e tutti i burocrati di turno hanno la coscienza a posto… vuol dire che tra di loro non c’è nessuno capace di farsi carico del problema e di trovare una soluzione.
La Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione deve diventare una palestra per veri e propri manager della cosa pubblica affiancando alla competenza giuridica e di settore una forma mentis aperta, non difensiva, ma esperta di problem solving.
Se la burocrazia non vuol sentirsi umiliata ed espropriata del proprio ruolo deve pretendere lo sfoltimento di norme e procedure e una radicale modifica della sua organizzazione, formazione e valutazione. All’interno della PA ci sono validi servitori dello Stato che queste cose le sanno. Si organizzino e facciano sentire alta e forte la loro voce. Non aspettino che siano i politici a farlo.