“Non vorrei essere al governo ad aprile”. Lo ha detto l’ex ministro dell’Economia Giulio Tremonti, paventando per l’inizio della prossima primavera una situazione molto problematica per l’Italia con la fine del blocco dei licenziamenti, il termine della cassa integrazione, le scadenze fiscali. Mentre i soldi del Recovery sono molto lontani dall’essere erogati. Una preoccupazione quella di Tremonti condivisa da più parti. L’ex ministro sembra smorzare l’entusiasmo di quanti negli ultimi giorni hanno salutato come salvifico il voto unanime di maggioranza e opposizione sullo scostamento di bilancio. Ne abbiamo parlato con l’economista, e parlamentare europeo della Lega, Antonio Maria Rinaldi.
Condivide le preoccupazioni di Giulio Tremonti?
“Purtroppo la prossima Finanziaria, che è in notevole ritardo, poggia su un’aspettativa, ovvero quella di ricevere dall’Europa gli aiuti promessi con il Recovery Fund. La realtà però è molto più complessa di quanto possa sembrare e non serve a nulla scaricare le colpe dei ritardi sui veti di Polonia e Ungheria. La verità è un’altra”.
Quale?
“Il problema sta tutto a Bruxelles, dove non si riesce a sbloccare il cosiddetto trilogo. Ovvero il colloquio fra Commissione europea, Consiglio europeo e Parlamento Ue, ovvero gli organismi che dovrebbero definire gli strumenti tecnici e i relativi dettagli. Siamo arrivati al quinto trilogo e i risultati non si vedono. Fino a quando non sarà sottoscritto un testo comune, non potrà nemmeno partire l’iter di ratifica da parte dei vari Paesi. Quindi il veto di Polonia e Ungheria è soltanto un paravento che serve per nascondere la realtà dei fatti, occultare le vere responsabilità dei ritardi. Saremo poi in grado di passare attraverso le strettissime maglie imposte da Bruxelles per poter utilizzare questi fondi? Un problema che si sta ponendo lo stesso ministro Gualtieri, al punto che tutto lo studio e la gestione del complesso iter che dovrà portarci ad ottenere le risorse europee sarà esternalizzato, ossia affidato ad un pool di esperti che dovranno prestare grande attenzione ai paletti messi dall’Europa. È dunque evidente che ad aprile, se non ci sarà una minima ripresa dell’economia e sarà revocato il blocco dei licenziamenti, ci troveremo in grosse difficoltà”.
Quindi il Recovery possiamo considerarlo quasi una chimera?
“Gli aiuti del Recovery sono concepiti per la realizzazione di progetti a medio e lungo termine con la condizionalità di favorire economie più digitali e verdi. Noi al contrario in questo momento abbiamo bisogno di supportare la capacità reddituale di ampie fasce economiche, dal commercio al turismo passando per la ristorazione, le partite iva, i liberi professionisti; abbiamo necessità di sostenere i consumi e di riformare il sistema fiscale diminuendo la pressione. Il Recovery purtroppo non contribuisce a tutto questo, quindi è illusorio attendersi cose mirabolanti nell’immediato, oltre al fatto che dovrà passare molto tempo prima di vedere le risorse. Per altro il Parlamento europeo nelle more delle decisioni che dovranno essere assunte, è dell’idea che vada anticipato agli Stati almeno il 20% delle risorse previste dal Recovery, contro il parere della Commissione che invece non vuole concedere più del dieci. Noi della Lega siamo in prima linea e ci stiamo battendo per ottenere almeno il 20%”.
I soldi del Recovery saranno davvero utili quando effettivamente disponibili, oppure aggraveranno la situazione del debito pubblico come molti sostengono obbligandoci ad ulteriori sacrifici e a future misure lacrime e sangue?
“Qualsiasi tipo di aiuto proveniente dall’Europa dovrà essere restituito fino all’ultimo centesimo. Non lo dico io, lo prevedono i trattati, in testa a tutti l’articolo 125 del Trattato di Lisbona. I soldi vanno restituiti tutti, o utilizzando i contributi dei Paesi al Bilancio europeo, o con mezzi propri, il che tradotto significa nuove tasse e tagli dei servizi. Fortunatamente, in questo momento di grande incertezza e di necessità, la Bce, sulla scia della politica del quantitative easing voluta da Mario Draghi, ha messo in cantiere il piano Pepp, una sorta di quantitative easing pandemico che da giugno 2020 a giugno 2021 ha messo in circolazione circa 1350 miliardi, destinati ad essere aumentati come confermato dalla presidente Lagarde. Senza questo intervento, molti Paesi si sarebbero trovati nelle condizioni di non poter collocare a prezzi sostenibili e a tassi estremamente bassi, il fabbisogno finanziario necessario per contrastare gli effetti del Covid. La Bce si è resa conto evidentemente che senza un suo intervento, nelle more dello sblocco degli aiuti europei, sarebbe avvenuto un disastro”.
Quindi, tradotto per l’uomo della strada, il Recovery fino a che punto conviene davvero?
“Ci conviene nella misura in cui c’è una Bce che finalmente fa il lavoro che fanno tutte le banche centrali del mondo, ovvero acquista sul mercato, non solo quello primario ma anche secondario, i titoli di Stato per poter sopperire al fabbisogno finanziario dei Paesi con condizioni estremamente sostenibili. Ciò permette anche di mantenere relativamente bassi i valori dello spread nell’area euro. Finché sarà in funzione questo meccanismo, noi potremo aver bisogno del Recovery in forma ridotta, mentre non avremo alcun bisogno dei fondi del Mes concepito per andare in soccorso del fabbisogno finanziario dei Paesi dell’eurozona che non hanno più accesso ai mercati, come avvenuto in passato per la Grecia. Oggi però tutti i Paesi, grazie alle politiche di sostegno della Bce inaugurate da Draghi, hanno accesso ai mercati a tassi molto bassi, quindi la natura stessa del Mes viene meno. Sarebbe anzi il caso di scioglierlo definitivamente modificando le sue finalità e riformandolo. C’è anche una proposta lanciata su Milano Finanza, firmata dal sottoscritto e da Luciano Barra Caracciolo, in cui si chiede lo scioglimento del Mes e l’utilizzo dei fondi già conferiti dagli Stati come capitale aggiuntivo per la Banca europea degli Investimenti con finalità ben precise di investimento reale. Finché detti fondi resteranno invece parcheggiati presso la Bce saremo costretti anche a pagare i tassi negativi, che per l’Italia si calcolano su circa 14 miliardi che abbiamo conferito nelle casse del Mes. Una quota tutt’altro che irrilevante”.