Il Governo è intervenuto rassicurando tutte le categorie tranne chi fa informazione. Per raccontare i fatti serve una editoria libera e forte, per questo è importante l’impegno verso l’informazione. Chi vive di lettori e di impegno professionale va tutelato al pari di altri lavoratori e imprese.
Siamo di nuovo combattendo in trincea contro il Coronavirus. Un corpo a corpo che genera la più terribile delle emozioni: paura. E con essa il disorientamento. C’è timore per la diffusione del virus, per i contagi, per i sintomi per i ricoveri, per le terapie intensive. Ma c’è anche e soprattutto la paura di non farcela economicamente, di non avere soldi ed entrate finanziarie sufficienti. Per le imprese l’incubo del blocco è iniziato di nuovo, dopo la pausa estiva e l’illusione di una ripresa. Ora si teme il peggio: la mancanza di liquidità, commissioni e vendite che vanno rovinosamente a tappeto, le buste paga da consegnare con l’ipotesi della chiusura che aleggia come uno spettro. In questo scenario che ogni giorno si tinge ci pessimismo c’è il Governo che si affretta a dire che “nessuno sarà lasciato solo”, ma in molti temono i tempi della burocrazia le incertezze e le incognite dei passaggi tra Governo, ministeri e banche e da queste ultime ai destinatari.
Nel frattempo le Associazioni di categoria che hanno visto alcuni settori non coperti dagli aiuti sono scese in campo in difesa dei loro associati ossia di famiglie e lavoratori. I giornali, sembrano, invece, vivere in un mondo tutto proprio, apparentemente lontano dalla crisi e dalle preoccupazioni. Nessun appello a sostegno dell’informazione e, d’altronde, nemmeno il Governo fa menzione dello stato di salute dei giornali e complessivamente del settore dei media in questo momento di crisi. Considerando forse che le cose per l’editoria non vanno poi tanto male.
Forse questo varrà per i grandi gruppi o per la Rai che d’altronde vive di denaro pubblico. Dimenticata e avvolta dal silenzio tutta l’editoria minore, le piccole imprese e aziende come la nostra che vive esclusivamente grazie all’impegno di molti, contraendo spese e cercando di tenere sempre i conti sotto controllo, senza penalizzare la qualità e il livello professionale del quotidiano. Abbiamo voluto, per correttezza, fare il nostro caso che tuttavia, possiamo estendere a molte altre realtà che come noi vivono facendo davvero fatica.
Oggi di fronte alle crescenti difficoltà provocate dalla pandemia per i suoi effetti socio economico ci corre l’obbligo di sollecitare gli editori di società editoriali piccole, medie o grandi che siano, a far sentire la loro voce. Spiegare all’opinione pubblica che non ci sono stati incentivi, sostegni e aiuti. Che, purtroppo, anche l’illusione di bonus e sconti per chi fa pubblicità sui giornali e siti on line, oggi è una ipotesi virtuale, perché chi può investire in pubblicità in un mercato fermo? In questi mesi di chiusure e semi chiusure di esercizi commerciali, infatti, fare pubblicità per le imprese significa non ottenere i risultati di ritorno e di vendite auspicate. È solo un esempio per dire come l’editoria sia tagliata fuori da veri aiuti. Non c’è da strapparsi le vesti o gridare allo scandalo, ma è giusto ricordare alle associazioni di categoria, al sindacato, alle forze politiche e al Governo che se davvero non si vuole lasciare indietro nessuno, e crediamo ancora un Paese libero, autorevole con un pluralismo editoriale che racconti l’Italia e suoi cittadini, allora è necessario avere rispetto per le tante storie di giornalismo e impegno.
Noi ci auguriamo che la pandemia finisca presto, che il Governo e le opposizioni dialoghino, che non prevalga la rabbia e la violenza nelle piazze, ma per raccontare tutto questo è necessario anche avere una editoria non solo libera ma economicamente sostenibile e, se possibile, ottenere aiuti senza elemosinarli, ma solo per la verità dei fatti e delle decisioni, finora, non ancora prese.