Le duecento pagine dell’ultimo libro di Mario Adinolfi, Il Grido dei Penultimi, sono state un tormentone estivo ad uso e consumo dei social, tra contestazioni e tentativi di impedirne la presentazione in pubblico, video virali di preservativi lanciati addosso all’autore e Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio che in prima pagina addirittura chiosava: ‘Troppo tardi”.
Sono abbastanza convinto che però nessuno dei contestatori, Travaglio incluso, abbia letto le duecento pagine del libro. Perché sono forse spiazzanti, a tratti emozionanti, ma davvero non trovo cosa si possa contestare all’autore. Alla fine è un libro di storie, di interviste, di racconto del dolore proprio e altrui, di scenari desolanti dell’Italia post-Covid. I protagonisti, questi silenziosi penultimi che solo un orecchio non ideologico può essere capace di accogliere comprendendone il muto grido, hanno l’accento popolare dell’autore nell’accezione che è insieme sociale e politica. L’accento popolare delle prime pagine ambientate nella Testaccio degli Anni Settanta, tutt’altra dal quartiere romano chic e alla moda di questi Anni Venti, ma anche il tratto politico di chi come Adinolfi è davvero forse l’unico autentico erede della scuola politica popolare di matrice sturziana.
In un panorama politico dove spadroneggiano da una parte l’accoppiata Salvini-Meloni, in piena “spinta propulsiva”, dall’altra gli acciaccati Zingaretti e Conte, manca chi intende farsi carico di un’opzione altra di cui il panorama culturale e politico ha senz’altro bisogno: i penultimi esistono, il ceto popolare esiste, quei bisogni hanno necessità di risposta, non foss’altro quella prima forma di risposta che è l’ascolto, come propone il libro di Adinolfi.
Altrimenti si finisce nella dialettica tristemente modaiola che in Parlamento fa discutere a settembre la legge Zan, a ottobre la legge sull’eutanasia, a novembre l’ulteriore espansione dell’uso della pillola abortiva RU486 consegnando l’Italia a un rullo mortifero che mette quasi paura nella sua incapacità di offrire un segno di speranza. Ecco, la pagina in cui Adinolfi si nega alla parola speranza, preferendo consegnarsi alla parola fede, è forse tra le più acute e toccanti del libro. Ci vuole davvero tanta fede per continuare a lottare come fa l’autore con il suo agguerrito ma piccolo gruppo di sostenitori del Popolo della Famiglia, nonostante i tempi offrano segnali che vanno in tutt’altra direzione rispetto a quella auspicata dai “pidieffini”.
Alla fine Il Grido dei Penultimi però è lì, è un libro con cui occorre misurarsi, il primo forse davvero approfondito sui temi dell’Italia post-Covid, perché non ricorre a letture superficiali, si immerge in profondità e interroga fin nelle viscere chi affronta queste pagine, da cui non ci si scolla finché il testo non è stato consumato, uscendone come dopo una nuotata in apnea. Questo volume chiude una trilogia aperta sette anni fa dal fortunato Voglio la mamma, scritto dall’allora deputato Adinolfi per spiegare la sua scelta di non ricandidarsi al Parlamento e di rompere i rapporti con il Partito democratico di cui pure è stato uno dei fondatori, proveniente come tanti in quei lidi dal solco del Partito popolare italiano. Voglio la mamma esplose con il passaparola, quel piccolo libro rosso “contro i falsi miti di progresso” costrinse Adinolfi a un tour durato tre anni, a cui fece seguito l’OCOM Tour, acronimo dal libro successivo O Capiamo O Moriamo.
Il Grido dei Penultimi chiude quel percorso ed è certamente il migliore dei tre libri, il più meditato, scritto nei mesi del lockdown, nato da una conversazione pubblica su Facebook con il cardinale arcivescovo di Bologna Matteo Zuppi a cui Adinolfi ha chiesto esplicitamente di “non dimenticare il grido dei penultimi”. Un testo meditato in cui, come noto per chi conosce lo stile dell’autore, non mancano le pagine d’impeto con l’emozione che traspaiono evidenti per offrire però alla fine un ragionamento chiaro: in questo tempo in cui un oceano di dolore rischia di travolgerci, solo la capacità di ascolto del bisogno dell’altro innesca una possibilità di salvezza. E questa forma di ascolto deve essere vera, concreta, non ideologica e meno che mai dettata dalle mode correnti che inventano nuovi ultimi e fanno affogare i penultimi nell’indifferenza generale, finché la loro disperazione non diventa una riga di taglio basso in cronaca. Per gli ultimi alla moda invece ci si inginocchia in Parlamento e in tv, anche se nulla hanno a che fare con i bisogni reali di famiglie italiane che non ce la fanno più.
Le pagine sul suicidio assistito, sulla famiglia con dieci figli missionaria nella mortifera Olanda, le storie di Nadia e di un altro Mario, l’intervista a Francesca, sono gemme che non rivelo. Da recensore conclude dicendo semplicemente che il libro va letto. Vi si scopre un Mario Adinolfi inatteso, sorprendente, profondamente popolare e schiettamente ostile ad un vuoto pneumatico che avanza e che sa di tristezza, odora di morte. Quando chiuderete il libro vi scoprirete combattivi. Non foss’altro che per questo motivo, Il Grido dei Penultimi è bene che non manchi dalla vostra libreria.
(Lo_Speciale)