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La razione ‘K’ ieri, oggi e domani

Tipico pasto di sopravvivenza sui campi di battaglia, menù salvavita per ogni emergenza o anche nello zaino per escursioni?
mercoledì, 31 Dicembre 2025
4 minuti di lettura

Scrivere sulla razione ‘K’ e descriverne le finalità proprio in questo momento bellicoso ai confini della nostra Europa e nel mezzo delle Festività Natalizie, mentre le tavole delle numerosissime famiglie italiane, immancabilmente, sono imbandite di tante prelibatezze e ristoranti, bar e movide affollati, sembra quasi anacronistico. Potrebbe però essere anche motivo di profonda riflessione su disagi, sofferenze e vittime che le guerre e le catastrofe provocate dall’uomo producono nella società del mondo intero.

Razione K

Nel secolo scorso, esattamente nel 1941, il fisiologo statunitense Ancel Beniamino Keys (1904/2004), studioso sugli effetti della deprivazione alimentare e di particolari regimi, viene “assunto presso il Dipartimento della guerra degli Stati Uniti con l’incarico di studiare un nuovo tipo di razione individuale, non deperibile e pronta al consumo, che potesse facilmente essere trasportata nelle tasche dei soldati nel corso di operazioni di combattimento di breve durata”. Siamo, infatti, agli albori della seconda guerra mondiale e tale razione viene utilizzata per brevi periodi da parte di unità mobili quali truppe aviotrasportate, corpi motorizzati, ed altri, suddivisa in tre moduli separati per colazione, pranzo e cena. Razioni individuali, non deperibili e pronte per il consumo; di facile trasporto e di infimo ingombro nelle tasche dei soldati e/o nei loro zaini, ma in grado ad apportare energia necessaria a sostenere il loro fisico impegnato nelle logoranti e stressanti operazioni di combattimento.

Colazione, pranzo e cena

Tra alcuni esperimenti, quella che soddisfa maggiormente le varie esigenze logistiche e di conservazione, ma non parimenti il palato dei soldati, è la confezione prodotta nel 1943, basata sui tre moduli, ben distinti: colazione, pranzo e cena, ai quali si tenta di adattare l’apporto giornaliero delle necessarie calorie e vitamine, tra cui cioccolato, caffè, caramelle, carne in scatola e fibra da assumere in pillola, nonché pastiglie per disinfettare l’acqua da bere insieme al supporto per cuocere le pietanze e relative tavolette combustibili, fiammiferi, sali minerali in polvere e una confezione monouso per l’igiene dentale. Non è presente la verdura per motivi di conservazione, mentre la frutta è quella secca o in barrette, sottovuoto o sciroppata e il latte condensato. L’obiettivo è quello di sfamare il soldato e fornirgli l’apporto nutritivo necessario, benché a discapito del gusto. Biscotti, caffè e bevande, inizialmente, infatti lasciano molto a desiderare.

I biscotti, alimento base

Sono pensati per assicurare il massimo apporto nutritivo possibile e, tra l’altro, i più difficili da produrre negli stabilimenti industriali in quanto composti da una miscela di grano, semi di soia, mais, avena e latte scremato. Distribuiti in quantità limitata, appena 4 pezzi, da mangiare anche ammollati per qualche secondo in acqua calda o latte. Nel 1944 c’è l’esigenza di modificare la miscela dei composti con un mix di cereali in forma di blocchetto pressato con aggiunta di latte e zucchero e che richiede anche questo ammollo in acqua o latte per qualche secondo prima di poter essere mangiato. È una confezione meno ingombrante, quasi per la metà della precedente, così da lasciare lo spazioanche alla carta igienica.

Le bevande e loro caratteristiche

Per la colazione la bevanda è rappresentata da due bustine di caffè solubile, rivelatosi di cattiva qualità e successivamente sostituito col ‘Nescafè’ della Nestlè, riscontrando alti tassi di gradimento tale da essere aggiunto, addirittura, anche alla razione serale. La limonata è costituita da una bustina con 7 grammi di cristalli idrosolubili, sul cui conto non mancano commenti e confronti estremi. Si dice, addirittura, che: “alcuni soldati canzonavano il prodotto asserendo come più che da bere, la limonata era utilissima per scrostare lo sporco dagli stivali e dalle stoviglie da campo”. In seguito viene sostituito da cristalli al sapore di arancia che trova un certo gradimento.

La razione serale è una bustina con 10 grammi di brodo in polvere idrosolubile, anche questa ricetta poi migliorata per rendere meno monotono il pasto serale dei propri soldati.

La razione K italiana

Le razioni K trovano utilizzo anche da parte del nostro esercito sin dal 1952, confezionate in un sacchetto sottovuoto contrassegnato da ben sette colori, uno per ogni giorno della settimana. Nelle razioni, tra gli alimenti, non manca il cioccolato fondente e il ‘cordiale’, una bevanda alcolica costituita da un gel in bustina, prodotta dallo Stabilimento chimico farmaceutico militare, inizialmente data ai militari in servizio di leva, alquanto gradito.

Guerra&Fame: sofferenze fisiche, psichiche e rischio della vita
Norman Borlaug (1914/2009), Agronomo ambientalista statunitense e vincitore del Premio Nobel per la Pace nel 1970, per il suo impegno nella lotta contro la fame nel mondo, afferma che: “….alcuni attivisti non hanno mai sperimentato la sensazione fisica della fame. Portano avanti le loro battaglie dai loro confortevoli uffici a Washington o Bruxelles. Se avessero vissuto un mese in mezzo alla miseria del mondo in via di sviluppo, come ho fatto io per 50 anni, starebbero piangendo per avere i trattori, i fertilizzanti e i canali di irrigazione e sarebbero indignati dal fatto che alcuni elitari alla moda se ne stavano a casa, cercando di negare loro queste cose”. Elogia, in effetti, le coltivazioni intensive e le nuove tecnologie per affrontare le problematiche della fame nel mondo. Non possiamo, infatti, ignorare che nel mondo sono circa 5 milioni i bambini che muoiono prima dei 5 anni a causa della malnutrizione, delle guerre e degli eventi climatici estremi.

Mangiare è un atto politico

Il fondatore di ‘Slow Food’, dirigente di ricerca, Carlo Petrini (1949), gastronomo, e ideatore di manifestazioni quali Ckeese, Salone del Gusto e Terra madre, nonché autore di libri enogastronomici tra cui, appunto, Slow food – le ragioni del gusto, 2001, e che cos’è il giusto, 2010, afferma che ‘mangiare è un atto politico’. Dice che “quando noi mangiamo facciamo una cosa che è importante per la salute, è importante anche per il piacere, perché anche la salute mentale l’aiutiamo mangiando bene, in buona compagnia”. “Con le nostre scelte alimentari noi aderiamo a dei modelli che sono sostenibili per l’ambiente, sostenibili per il presente e sostenibili per il futuro. La dieta, ovvero l’alimentazione mediterranea e la cucina italiana, non a caso, sono insignite del riconoscimento Unesco come Patrimonio Culturale Immateriale Orale dell’Umanità”.

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