L’equilibrio già fragile della guerra in Yemen subisce un nuovo scossone. L’Arabia Saudita ha bombardato il porto di Mukalla, nel sud del Paese, sostenendo di aver intercettato una spedizione di armi proveniente dagli Emirati Arabi Uniti e destinata alle milizie separatiste del Consiglio di Transizione del Sud (STC). Un’operazione definita “limitata ma necessaria” da Riyadh, che accusa Abu Dhabi di alimentare una pericolosa escalation nel conflitto. Secondo il comunicato diffuso dall’agenzia statale saudita, le navi arrivate da Fujairah — porto emiratino sulla costa orientale — avrebbero disattivato i sistemi di tracciamento prima di scaricare veicoli militari e un ingente quantitativo di armi destinati alle forze separatiste. L’attacco ha colpito mezzi e cargo in fase di sbarco, in un’operazione che segna una rottura senza precedenti tra due Paesi considerati fino a ieri pilastri della stessa coalizione anti‑Houthi. La risposta del governo yemenita è stata immediata: dichiarazione dello stato di emergenza, chiusura temporanea dei valichi e richiesta formale agli Emirati di ritirare le proprie forze dal territorio entro 24 ore. Una mossa che certifica la profondità della crisi interna al fronte anti‑ribelle, già indebolito da anni di rivalità sotterranee tra Riyadh e Abu Dhabi. Il Southern Transitional Council, sostenuto dagli Emirati, controlla ampie porzioni del sud del Paese e da settimane è impegnato in avanzate territoriali che hanno irritato la leadership saudita, preoccupata di un possibile smembramento dello Yemen e di un indebolimento della lotta contro gli Houthi, appoggiati dall’Iran. L’episodio arriva in un momento di forte tensione nell’intera regione del Mar Rosso, già destabilizzata dagli attacchi ai traffici commerciali e dalle ripercussioni della guerra a Gaza.



