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Un nodo contrattuale che torna al centro del dibattito

Progressioni verticali negli enti locali: chiarezza su ferie e RIA, ma il contratto lascia troppe zone d’ombra
sabato, 27 Dicembre 2025
2 minuti di lettura

Il parere ARAN n. 35268 riaccende una questione che negli enti locali si trascina da anni: cosa accade ai diritti maturati quando un dipendente sale all’area immediatamente superiore? L’unico punto fermo è l’articolo 15, comma 2, del CCNL Funzioni Locali del 16 novembre 2022. La norma prevede tre elementi chiari: niente nuovo periodo di prova, conservazione integrale delle ferie accumulate e mantenimento della Retribuzione Individuale di Anzianità, che resta estranea al Fondo delle risorse decentrate.
Si tratta di un presidio utile ma limitato, che evita soluzioni di continuità soltanto per questi istituti e solo nel caso di progressione all’area immediatamente successiva.

Il sistema delle aree e la necessità di premiare il merito

Il nuovo assetto a tre aree punta, almeno nelle intenzioni, a valorizzare le professionalità interne. La progressione verticale non è un cambio di datore di lavoro, ma un riconoscimento delle competenze maturate sul campo. Eppure, proprio in un sistema che vorrebbe premiare il merito, sorprende che la disciplina degli istituti giuridici non sia stata resa più lineare.
Un avanzamento dovrebbe rafforzare la posizione del dipendente, non introdurre dubbi o possibili disparità di trattamento tra chi progredisce e chi rimane nella stessa area.

Permessi e banca ore: il vuoto normativo che divide gli enti

Il punto più critico è la totale assenza, nel contratto, di un riferimento ai permessi e alla banca ore. Per molti lavoratori si tratta di strumenti essenziali per gestire i carichi familiari e l’organizzazione quotidiana del lavoro.
Senonché, senza un’indicazione chiara, ogni amministrazione interpreta la norma a modo suo. Alcune riconoscono automaticamente permessi e ore accumulate; altre li azzerano, sostenendo che il contratto non ne preveda la continuità.
Il risultato è un mosaico di prassi incoerenti, che mina la certezza del diritto e può finire per creare dipendenti di “serie A” e “serie B” a seconda dell’ente in cui lavorano. Un paradosso tipico della PA italiana, dove spesso non è la legge a fare la differenza, ma l’interpretazione della singola struttura.

Principi ordinamentali e buon senso amministrativo

Dal punto di vista dei principi generali, lascia perplessi che un dipendente resti nello stesso ente, talvolta nello stesso ufficio, ma veda azzerati strumenti che aveva legittimamente accumulato. La parità di trattamento non dovrebbe essere un optional.
La mancanza di una disciplina uniforme espone gli enti anche al rischio di contenziosi—con costi, tempi e incertezze che ricadono sul sistema pubblico e sui cittadini.

Serve un intervento chiaro e responsabile

Le progressioni verticali dovrebbero essere un’occasione di crescita, non un salto nel buio amministrativo. Per questo, un chiarimento contrattuale diventa indispensabile. Non per moltiplicare i diritti, ma per stabilire regole certe e uguali per tutti.
In una Pubblica Amministrazione che punta a efficienza e responsabilità, non è più tollerabile che istituti fondamentali restino affidati a interpretazioni mutevoli e locali. Una riforma puntuale darebbe stabilità agli enti e rispetto ai lavoratori, rafforzando l’autorevolezza della macchina pubblica—obiettivo che, per chi crede nello Stato efficiente, è tutt’altro che secondario.

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