Il Dipartimento di Giustizia statunitense ha ripubblicato 119 pagine di documenti legati al caso Epstein, annunciando “censure minime” rispetto alle versioni precedenti. Un gesto che, nelle intenzioni ufficiali, punta a rafforzare la trasparenza su uno dei dossier più controversi degli ultimi anni, ma che riapre inevitabilmente interrogativi politici, giudiziari e sociali. I file, parte di un più ampio archivio investigativo, includono testimonianze, scambi interni e materiali raccolti durante le indagini sui traffici sessuali orchestrati dal finanziere Jeffrey Epstein. Le nuove versioni mostrano ampie porzioni di testo finalmente leggibili, con nomi e dettagli operativi che in passato erano stati oscurati. Restano tuttavia coperti alcuni riferimenti considerati “sensibili” per la sicurezza delle persone coinvolte o per procedimenti ancora in corso. La ripubblicazione arriva in un momento in cui l’opinione pubblica americana continua a chiedere chiarezza sulle responsabilità istituzionali e sulle eventuali protezioni di cui Epstein avrebbe goduto. Gruppi per la trasparenza e associazioni per i diritti delle vittime hanno accolto la mossa come un passo avanti, pur sottolineando che la piena ricostruzione dei fatti richiederà l’accesso a documenti ancora non divulgati. Sul piano politico, la decisione del Dipartimento di Giustizia alimenta un dibattito già incandescente: da un lato chi vede nella pubblicazione un atto dovuto, dall’altro chi teme che la selezione delle informazioni possa orientare la percezione pubblica. In ogni caso, i nuovi file riaccendono l’attenzione su una vicenda che continua a proiettare ombre lunghe sul sistema giudiziario americano.



