Con un voto di 8 a 3, il Comitato consultivo sulle pratiche di immunizzazione (ACIP) ha deciso di porre fine alla storica raccomandazione che prevedeva la somministrazione della prima dose di vaccino contro l’epatite B a tutti i neonati americani subito dopo la nascita. La nuova linea guida, che dovrà essere approvata dal CDC e dal Dipartimento della Salute (HHS) prima di diventare ufficiale, segna una svolta: non più un obbligo universale, ma un processo decisionale individuale, in cui genitori e operatori sanitari valuteranno rischi e benefici caso per caso. Secondo l’ACIP, il rischio di contrarre l’epatite B nei primi anni di vita è “estremamente basso” per i bambini nati da madri sane e negative al virus. Per questo, il comitato ha raccomandato che i piccoli vengano sottoposti a test di immunità prima di ricevere il vaccino, in modo da calibrare meglio la protezione. Il dibattito interno è stato acceso. Il professor Retsef Levi, membro dell’ACIP, ha sottolineato come la politica americana fosse “disallineata rispetto a molti Paesi sviluppati”, ricordando che gli USA erano l’unica grande nazione industrializzata a raccomandare un vaccino contro una malattia sessualmente trasmissibile già alla nascita. Il dottor Robert Malone, intervenuto con una difesa appassionata della libertà medica, ha ribadito che “il diritto all’autodeterminazione dei genitori e dei loro figli deve prevalere sul principio di collettività”. i sostenitori della misura parlano di un ritorno al consenso informato e di un riallineamento con le pratiche internazionali. Tuttavia, alcuni esperti temono che la riduzione della copertura vaccinale possa esporre a rischi futuri. In ogni caso, la scelta segna un momento storico: gli Stati Uniti rivedono una delle loro politiche sanitarie più controverse, ponendo al centro la libertà di scelta dei genitori e la valutazione individuale dei rischi.



