La denuncia delle guerre combattute “in nome di Dio” e il dolore per i rapimenti di sacerdoti, fedeli e studenti in Africa hanno segnato la domenica di Papa Leone XIV, intrecciando riflessione teologica e cronaca, memoria del passato e ferite del presente. Il Pontefice è intervenuto anzitutto con la lettera apostolica ‘In unitate fidei’, pubblicata in occasione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea. Nel testo il Santo Padre ha constatato che “oggi per molti, Dio e la questione di Dio non hanno quasi più significato nella vita” e richiamato un passaggio del Concilio Vaticano II, sottolineando come “i cristiani sono almeno in parte responsabili di questa situazione, perché non testimoniano la vera fede e nascondono il vero volto di Dio con stili di vita e azioni lontane dal Vangelo”.
Il Vescovo di Roma ha collegato questa crisi di credibilità anche a una storia segnata da violenze compiute con giustificazioni religiose: «Si sono combattute guerre, si è ucciso, perseguitato e discriminato in nome di Dio. Invece di annunciare un Dio misericordioso, si è parlato di un Dio vendicatore che incute terrore e punisce”. Da qui l’invito implicito a un esame di coscienza ecclesiale, alla luce del Credo di Nicea che, ha ricordatola lettera, proclama il Figlio di Dio fatto uomo per la salvezza e non per alimentare paure o contrapposizioni. Il documento – pubblicato mentre il Papa si prepara al viaggio apostolico in Türkiye, dove sarà commemorato il Concilio di Nicea – richiama l’unità della fede cristiana e la responsabilità dei credenti nel renderla credibile nella storia. Il riferimento alle guerre e alle discriminazioni “in nome di Dio” assume così il valore di una presa di distanza netta da ogni uso strumentale del nome divino.
Giubileo dei cori
Poche ore dopo, affacciandosi su piazza San Pietro al termine della Messa per la solennità di Cristo Re e nel contesto del Giubileo dei cori e delle corali, Prevost ha legato quella riflessione alla situazione di insicurezza che colpisce alcune comunità in Africa. Davanti ai pellegrini, ha detto di aver appreso “con immensa tristezza le notizie dei rapimenti di sacerdoti, fedeli e studenti nella Nigeria e nel Camerun” e ha confessato: “Sento forte il dolore soprattutto per i tanti ragazzi e ragazze sequestrati e per le loro famiglie angosciate”. Sua Santità ha quindi rivolto “un accorato appello affinché vengano subito liberati gli ostaggi” ed esortato “le autorità competenti a prendere decisioni adeguate e tempestive per assicurarne il rilascio”. Poi la richiesta alla Chiesa di sostenere con la preghiera chi è colpito dalla violenza: “Preghiamo per questi nostri fratelli e sorelle, e perché sempre e ovunque le chiese e le scuole restino luoghi di sicurezza e di speranza”.
La fede non è astrazione
Il Papa ha ribadito che seguire Cristo non è una via comoda, ma un cammino che passa attraverso la conversione, la rinuncia agli idoli e l’amore verso il prossimo: “Non possiamo amare Dio che non vediamo senza amare il fratello che vediamo”. Ha ricordato che la fede non è un fatto astratto, ma si manifesta “nell’ascesa a Dio attraverso la dedizione ai fratelli e alle sorelle”, soprattutto agli ultimi, ai poveri, agli abbandonati.
Infine Leone ha invitato la Chiesa a un rinnovato impegno spirituale: un ecumenismo fatto di preghiera, ascolto, conversione e “scambio dei doni”, perché la piena unità, ha detto, “non ci rende più poveri, ma ci arricchisce”.


