Il Bangladesh è attraversato da una nuova ondata di tensione politica e sociale, a un anno dalla caduta del governo di Sheikh Hasina. Le strade di Dhaka e di altre città sono tornate a riempirsi di manifestanti, soprattutto giovani e studenti, che chiedono giustizia per le vittime della repressione del 2024 e denunciano l’inerzia del governo ad interim guidato da Muhammad Yunus. Le proteste, iniziate in forma pacifica, sono degenerate in scontri violenti con le forze dell’ordine. Secondo fonti locali, oltre venti attacchi incendiari hanno colpito veicoli e spazi pubblici nella capitale, mentre uffici e scuole sono stati chiusi per motivi di sicurezza. Il clima è reso ancora più incandescente dal processo in corso contro l’ex premier Hasina, accusata di crimini contro l’umanità per la gestione brutale delle manifestazioni antigovernative dell’estate 2024. La procura ha chiesto la pena di morte per Hasina, che si trova in esilio in India e viene processata in contumacia. Le accuse si basano su documenti e testimonianze che attribuiscono alla sua amministrazione la responsabilità diretta per la morte di circa 1.400 persone, in gran parte studenti e attivisti. Il Tribunale dei crimini internazionali del Bangladesh ha avviato il procedimento lo scorso giugno, ma il dibattito resta polarizzato. Da un lato, i sostenitori della Lega Awami parlano di “processo politico” e accusano Yunus di voler cancellare vent’anni di governo con una narrazione unilaterale. Dall’altro, le ONG e le organizzazioni per i diritti umani chiedono verità e riparazione, denunciando l’uso sistematico della violenza da parte dello Stato e la chiusura degli spazi democratici. Il governo ad interim, pur avendo promesso riforme e trasparenza, fatica a contenere il malcontento. Le proteste attuali non sono solo contro Hasina, ma anche contro la lentezza della giustizia e la fragilità delle istituzioni.



