Il presidente brasiliano Luiz Inácio Lula da Silva ha chiesto l’apertura di un’indagine federale dopo la morte di 121 persone durante una maxi-operazione di polizia contro il cartello del Comando Vermelho nelle favelas di Alemão e Penha, a nord di Rio. “Non si può chiamare sicurezza ciò che si trasforma in massacro,” ha dichiarato Lula il 4 novembre, definendo l’intervento “una tragedia nazionale”. L’operazione, condotta il 28 ottobre da circa 2.500 agenti tra polizia militare e civile, è stata la più sanguinosa nella storia dello Stato di Rio de Janeiro. Secondo le autorità locali, l’obiettivo era smantellare una rete di narcotraffico armata con fucili d’assalto, granate e droni. Ma le immagini diffuse mostrano decine di corpi sull’asfalto, scuole chiuse e quartieri paralizzati. Tra le vittime ci sono anche quattro agenti di polizia. Il governatore di Rio, Cláudio Castro, ha difeso l’operazione parlando di “successo strategico”, ma è ora sotto inchiesta per abuso di potere e uso eccessivo della forza. La Conferenza episcopale brasiliana ha condannato l’intervento, chiedendo “rispetto per la vita umana” e “una riflessione profonda sulla militarizzazione della sicurezza”. Secondo Internazionale, l’operazione è stata preparata per oltre due mesi e ha portato al sequestro di 75 fucili, centinaia di munizioni e oltre 100 arresti. Tuttavia, molte ONG denunciano che la maggior parte dei morti non erano armati e che alcuni corpi presentavano segni di esecuzione sommaria. Il ministro della Giustizia ha promesso “trasparenza assoluta” e ha inviato ispettori federali per raccogliere testimonianze. Intanto, la popolazione delle favelas vive nel terrore, con famiglie sfollate e servizi pubblici interrotti. “Non possiamo combattere il crimine con più crimine,” ha detto Lula, chiedendo un nuovo modello di sicurezza urbana.



