Ieri nel Sud del Libano si è registrata un’ulteriore impennata di tensione tra Israele e la missione Onu Unifil. La forza di pace ha reso noto che, intorno alle 17.45 vicino a Kfar Kila, un drone israeliano si è avvicinato a una pattuglia e ha sganciato una granata; subito dopo un carro armato ha esploso un colpo verso i caschi blu. Non ci sono stati feriti. Unifil ha parlato di violazione della risoluzione 1701 e della sovranità libanese, ricordando che poche ore prima la stessa pattuglia aveva adottato contromisure difensive contro un altro drone che la sorvolava in modo aggressivo.
Le Idf, in un messaggio diffuso sempre ieri, hanno accusato i peacekeeper di avere abbattuto il giorno precedente un loro drone “di raccolta informazioni” nell’area, sostenendo che non rappresentasse una minaccia. Sul versante politico interno, Israele si prepara a voltare pagina sul fronte emergenziale. Il ministro della Difesa Israel Katz ha deciso di revocare da domani la “situazione speciale” nel Sud del Paese, in vigore in modo continuativo dal 7 ottobre 2023.
La misura, che permetteva restrizioni agli assembramenti e chiusure mirate, cade “alla luce della nuova realtà di sicurezza”, secondo Katz. Intanto il fronte settentrionale resta carico. Dopo l’approvazione, il mese scorso, di un piano governativo libanese per il disarmo di Hezbollah, il numero due del movimento, Naim Qassem, ha rivendicato “il diritto a mantenere le armi per proteggere la patria”, pur confermando la necessità di preservare il cessate il fuoco con Israele e di prepararsi a ogni eventuale aggressione.
Raid su Gaza e blocco degli aiuti
Nel frattempo a Gaza non si placa il rischio di escalation. Ieri fonti di Al Jazeera Arabic hanno segnalato tre raid aerei israeliani su Khan Younis e attacchi di droni nell’area di Shujayea. L’Unrwa ha denunciato che Israele continua a impedire l’ingresso del personale internazionale e degli aiuti, mentre circa 12 mila dipendenti locali garantiscono servizi sanitari, sostegno psicologico e istruzione in condizioni “inimmaginabili”. La Corte internazionale di giustizia, la settimana scorsa, ha ricordato che la potenza occupante deve sostenere gli sforzi di soccorso delle Nazioni Unite.
Da parte sua l’Unione europea ha ribadito la propria linea sulla Cisgiordania: qualsiasi mossa di annessione sarebbe illegale e non riconosciuta. Bruxelles richiama le risoluzioni del Consiglio di sicurezza e il principio del non riconoscimento della sovranità israeliana sui territori occupati dal 1967. Nel dibattito pubblico è circolato anche il “Tribunale di Gaza”, iniziativa non ufficiale sul modello del Tribunale Russell, che dopo audizioni a Istanbul ha pubblicato un giudizio morale definendo “genocidio” le azioni di Israele nella Striscia e invocando responsabilità politiche e giuridiche. Un pronunciamento privo di effetti legali, ma indicativo del clima internazionale che circonda il conflitto.
Pizzaballa a Roma
A Roma, durante l’evento “Osare la pace” della Comunità di Sant’Egidio, il Patriarca di Gerusalemme Pierbattista Pizzaballa ha messo in guardia sulla fase post-bellica: “La ricostruzione di Gaza non la faranno Kushner o Blair. La faranno i volontari, sporcandosi le mani, ricostruendo il tessuto civile e umano”. Per il cardinale, le leadership politiche e religiose “hanno fallito”, serve “una nuova prospettiva e volti nuovi” e un salto di qualità nel dialogo interreligioso, ferito dagli ultimi due anni di guerra.
Polemiche su Ben Gvir e l nodo delle salme
In Israele tiene banco la polemica su Itamar Ben Gvir. L’ex ostaggio Bar Kuperstein, liberato il 13 ottobre, ha raccontato alla tv pubblica Kan di essere stato picchiato dai rapitori “in risposta” all’inasprimento delle condizioni dei prigionieri di sicurezza palestinesi vantato dal ministro. Ben Gvir ha replicato accusando i media di rilanciare la “narrativa di Hamas” e in Knesset ha attaccato le opposizioni. Sul dossier ostaggi, l’emittente Kan ha riferito che Israele non conosce l’ubicazione di quattro delle tredici salme ancora nelle mani di Hamas. Nelle ricerche, oltre la Linea Gialla, sarebbero impegnati miliziani del movimento, squadre della Croce Rossa e operatori inviati dall’Egitto. Sempre nei giorni scorsi, in un briefing a porte chiuse alla Knesset, fonti della difesa hanno indicato la possibile partecipazione di Pakistan, Indonesia e Azerbaigian a una futura forza internazionale di stabilizzazione per Gaza.



