Nel Paese delle leggi infinite la burocrazia continua a crescere senza sosta. Nel solo 2024 l’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato ha pubblicato 305 Gazzette Ufficiali e 45 Supplementi ordinari e straordinari, per un totale di 35.140 pagine. Un volume di carta che, se stampato, peserebbe 84 chilogrammi e formerebbe una pila alta quasi due metri. Lo ha rilevato uno studio dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, che ha calcolato anche un dato curioso: per leggere attentamente tutte queste pagine servirebbero 366 giorni lavorativi, cioè un anno intero, week-end inclusi. Nei primi nove mesi del 2025 sono già stati pubblicati 227 numeri della Gazzetta Ufficiale e 31 Supplementi, per un totale di 25.888 pagine, appena 189 in più rispetto allo stesso periodo del 2024. Rispetto all’epoca pre-Covid, però, la situazione è peggiorata: nel 2019 le pagine totali furono 32.236, quasi tremila in meno rispetto al dato del 2024.
La giornata simbolo della ‘produttività normativa’ italiana è stata il 18 aprile 2025. In quella data è uscito il Supplemento ordinario n. 13, un tomo di 5.157 pagine contenente tabelle e grafici degli Isa (Indici sintetici di affidabilità fiscale), gli strumenti che hanno sostituito i vecchi studi di settore. Un documento monumentale, indispensabile per imprese e commercialisti, ma che rende evidente l’enorme mole di materiali che ogni anno la burocrazia produce.
Addio a 30.700 leggi prerepubblicane
Tra le pubblicazioni del 2025, una in particolare è stata accolta con favore: il Supplemento ordinario n. 14 del 24 aprile, composto da 1.616 pagine, ha sancito l’abrogazione di 30.700 atti normativi prerepubblicani risalenti al periodo 1861-1946. Regi decreti, leggi formali, decreti del capo del governo e perfino decreti del Duce: un colossale ‘ripulisti’ che, secondo il Governo, ridurrà del 28 per cento lo stock normativo statale. Una misura in linea con gli obiettivi di semplificazione del Pnrr, che punta a snellire la macchina burocratica italiana. Secondo la Cgia la sovrapproduzione normativa italiana è figlia di due grandi errori strutturali: la mancata abrogazione delle leggi superate, che continuano a convivere con norme più recenti, e il ricorso eccessivo ai decreti legge, che richiedono sempre nuovi decreti attuativi per diventare effettivi. Il risultato è una Pubblica Amministrazione paralizzata, dove l’incertezza interpretativa rallenta tutto (dagli appalti alle autorizzazioni) penalizzando soprattutto le piccole imprese.
Non solo troppe, ma spesso scritte male: le leggi italiane, ha osservato la Cgia, sono complesse e contraddittorie, rendendo difficile perfino agli operatori pubblici capire come applicarle. In questo contesto, i dirigenti acquisiscono un potere discrezionale enorme: la possibilità di rinviare o bloccare decisioni può trasformarsi in posizioni di rendita, quando non in veri e propri comportamenti corruttivi o concussivi.
Le proposte per una Pa più semplice
Per invertire la rotta serve una riforma culturale e organizzativa della Pubblica amministrazione. La Cgia ha indicato alcune priorità operative: ridurre e migliorare la qualità delle leggi valutandone l’impatto su micro e piccole imprese, monitorare periodicamente gli effetti delle nuove misure, potenziare la digitalizzazione e l’interoperabilità delle banche dati pubbliche, consentire procedure esclusivamente online con modulistica standard e semplificata e formare continuamente i dipendenti pubblici per aumentare competenza e autonomia decisionale. Di certo il peso della cattiva burocrazia sul sistema economico italiano è enorme. Secondo uno studio di ‘The European House – Ambrosetti’, richiamato dalla Cgia, le imprese italiane spendono ogni anno 57,2 miliardi di euro solo per gestire i rapporti con la Pubblica amministrazione. La Cgia ha calcolato la ripartizione territoriale di questo costo: Milano guida la classifica con 6,1 miliardi di euro, seguita da Roma (5,4), Torino (2,2), Napoli (1,9) e Brescia (1,4). In fondo alla graduatoria figurano Enna (81 milioni), Vibo Valentia (80) e Isernia (55).