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Tregua a Gaza: lunedì la firma in Egitto con al-Sisi e Trump. Scontro Hamas-Israele sul disarmo

Iniziato il trasferimento dei detenuti palestinesi, 300mila civili rientrati a Gaza City: “Non c’è più nulla”. Netanyahu: "L'Idf rimane fino a quando Hamas avrà lasciato le armi".
domenica, 12 Ottobre 2025
3 minuti di lettura

Ieri si è consolidato il quadro della prima fase del piano per Gaza: lunedì a Sharm el-Sheikh si terrà la cerimonia di firma copresieduta dal presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi e da Donald Trump, con la partecipazione di numerosi leader internazionali; l’Italia sarà rappresentata dalla premier Giorgia Meloni. Sul nodo politico-militare resta il braccio di ferro: per Benjamin Netanyahu le Forze di difesa israeliane «rimarranno fino a quando Hamas avrà lasciato le armi». Ma il movimento islamico ribadisce che non procederà a un disarmo completo. Bassem Naim (Hamas) ha ribadito a Sky News che non vi sarà un disarmo totale: i miliziani sarebbero integrati in una struttura di sicurezza palestinese e «le armi consegnate allo Stato palestinese».

Naim ha ringraziato Trump per lo sforzo negoziale e ha espresso contrarietà alla presenza di Tony Blair nel comitato di governance della Striscia. Dal Cairo trapela inoltre che Jared Kushner rappresenterà gli Stati Uniti nei negoziati sulla ricostruzione. Nel frattempo procede l’architettura di sicurezza. Ieri l’inviato speciale Usa per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il capo del Centcom, ammiraglio Brad Cooper, hanno visitato una base israeliana nella Striscia insieme al capo di Stato maggiore Eyal Zamir. Obiettivo: definire un “centro di coordinamento civile-militare” guidato dal Centcom a sostegno della stabilizzazione. Cooper ha confermato che «non ci saranno boots on the ground americani a Gaza». Intanto le prime unità statunitensi (circa 200 militari) sono arrivate in Israele per contribuire alla supervisione del cessate il fuoco e alla creazione del centro di controllo congiunto.

Emergenza umanitaria

Sul terreno umanitario, la Protezione civile della Striscia — gestita da Hamas — stima in 300mila i palestinesi già rientrati a Gaza City dall’inizio della tregua. Ma il quadro è drammatico: mancano tende e alloggi, nelle ultime ore sono stati recuperati 150 corpi dalle macerie e risultano ancora dispersi circa 9.500 civili. Da Khan Yunis il sindaco Alaa al-Din al-Batta parla di un governatorato distrutto all’80%, con 400mila tonnellate di detriti a bloccare le arterie e 136 tra parchi, piazze e rotatorie rasi al suolo: nove squadre sono al lavoro, ma servono mezzi pesanti.L’Onu ha ricevuto il via libera di Israele per far entrare da domani massicci convogli: 170mila tonnellate di aiuti sono già pronte in Giordania ed Egitto. Ankara, per voce del ministro degli Esteri Hakan Fidan, auspica che non vi siano provocazioni e che il processo prosegua secondo gli impegni assunti: rilascio degli ostaggi, ritiro su linee concordate e liberazione di centinaia di detenuti.

Scambio dei detenuti

Proprio sul dossier detenuti si registrano tensioni. Secondo fonti di Hamas citate da Ynet, Israele avrebbe cambiato 100 nomi nella lista dei prigionieri da rilasciare. Non saranno scarcerati due medici molto noti a Gaza: il pediatra Hussam Abu Safiya, arrestato nel dicembre 2024 durante un blitz all’ospedale Kamal Adwan, e Marwan al-Hams, direttore degli ospedali da campo, fermato a luglio. Amnesty International ha rilanciato l’appello per la liberazione di Abu Safiya. In vista degli scambi, i detenuti sono stati trasferiti nelle carceri di Ofer (per i rilasci in Cisgiordania) e Ketziot (per i rilasci verso Gaza o l’Egitto). Da parte sua, Hamas ha avviato nel nord della Striscia una campagna di arresti contro presunti “collaboratori” e gruppi rivali.

Il documento di Sinwar

Parallelamente emergono nuovi dettagli sull’attacco del 7 ottobre. L’intelligence israeliana ha trovato nel bunker usato da Mohammed Sinwar un promemoria di sei pagine — datato 24 agosto 2022 e attribuito al fratello — con istruzioni operative: penetrare con bulldozer aprendo varchi nella recinzione, colpire obiettivi militari e comunità civili, appiccare incendi «con la benzina» e diffondere le immagini per destabilizzare Israele. Alle note si aggiungono intercettazioni del 7 ottobre: «Bruciate tutto, voglio l’intero kibbutz in fiamme», avrebbe ordinato un comandante del battaglione di Gaza City; «Uccidete chiunque incontrate» e «catturate molti ostaggi», avrebbe detto Abu Muath, battaglione di Jabaliya, chiedendo di filmare con droni “per l’intero mondo arabo”.

Raid in Libano e minacce Houthi

La tregua resta fragile anche per gli effetti delle fibrillazioni regionali. Ieri all’alba raid israeliani nel sud del Libano hanno ucciso una persona e ferito sette civili, colpendo un sito con macchinari pesanti a Msayleh; Beirut condanna denunciando obiettivi civili. Dallo Yemen gli Houthi minacciano nuovi lanci contro Israele. Sul versante italiano, il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha avuto un colloquio con l’omologo Usa Marco Rubio confermando che Roma e Washington lavorano insieme per l’attuazione del piano Trump.

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