A Manila, il cuore pulsante delle Filippine, la rabbia è scesa in piazza. Centinaia di manifestanti hanno occupato le strade della capitale per denunciare l’uso improprio dei fondi destinati alla tutela ambientale. Secondo le organizzazioni civiche e ambientaliste, il governo avrebbe dirottato milioni di pesos verso progetti infrastrutturali ad alto impatto ecologico, tradendo lo spirito delle politiche verdi. “Questi fondi dovevano servire a riforestare, proteggere le coste e sostenere le comunità indigene. Invece sono stati usati per distruggere ciò che resta della nostra biodiversità”, ha dichiarato Ana Santos, portavoce del movimento Verde Vivo, durante il sit-in davanti al Dipartimento dell’Ambiente e delle Risorse Naturali. Le accuse si basano su un rapporto interno trapelato alla stampa locale, secondo cui il 40% del budget ambientale 2024 sarebbe stato riallocato senza consultazione pubblica. Tra i progetti contestati figurano la costruzione di nuove autostrade in aree protette, il finanziamento di impianti industriali in zone costiere e l’espansione di miniere a cielo aperto in territori ancestrali. Il governo, da parte sua, respinge le critiche e parla di “rimodulazione strategica” per favorire lo sviluppo economico. Ma la tensione cresce. Alcuni manifestanti hanno bloccato l’ingresso al palazzo presidenziale, chiedendo trasparenza e l’istituzione di una commissione indipendente. “Non è solo una questione di soldi, è una questione di futuro”, ha gridato un giovane attivista, mentre la polizia cercava di contenere la folla. La protesta ha coinvolto anche studenti, agricoltori e leader indigeni, che denunciano l’erosione delle terre e l’inquinamento delle falde acquifere. “Il cambiamento climatico non aspetta le scuse del governo”, ha detto in un’intervista radiofonica il geologo Ramon de la Cruz, sottolineando come le Filippine siano tra i Paesi più vulnerabili agli eventi estremi.
