Il Giappone potrebbe presto scrivere una pagina storica eleggendo la sua prima premier donna. A guidare la corsa è Sanae Takaichi, esponente conservatrice del Partito Liberal Democratico (LDP), già ministra degli Interni e delle Telecomunicazioni, sostenuta da una parte dell’establishment e da ambienti nazionalisti. La sua candidatura, rilanciata dopo le dimissioni del premier Fumio Kishida, ha riacceso il dibattito su parità di genere e rappresentanza politica in un Paese dove le donne restano largamente sottorappresentate. Attualmente, solo il 10% dei seggi parlamentari è occupato da donne, e il Giappone si colloca al 118° posto nel Global Gender Gap Index del World Economic Forum. Nonostante le promesse di riforma, il progresso è stato lento e frammentario. “La leadership femminile è ancora vista come eccezione, non come norma,” ha commentato la sociologa Yuki Tanaka dell’Università di Kyoto. Takaichi, nota per le sue posizioni conservatrici su famiglia e sicurezza, ha evitato di presentarsi come simbolo femminista, preferendo puntare su competenza e continuità. “Non corro per essere la prima donna, corro per servire il mio Paese,” ha dichiarato in una recente conferenza stampa. La sua candidatura ha ricevuto il sostegno di alcuni gruppi giovanili e imprenditoriali, ma incontra resistenze all’interno del partito, dove le correnti più tradizionaliste spingono per un ritorno a figure maschili consolidate. Tuttavia, il calo di consensi verso l’LDP e la crescente pressione internazionale per una maggiore inclusività potrebbero favorire un cambio di rotta. Se eletta, Takaichi non solo infrangerebbe un tabù politico, ma aprirebbe una nuova fase per il Giappone, dove il ruolo delle donne nella vita pubblica è ancora in cerca di pieno riconoscimento.
