0

L’Europa volta pagina, Belgrado no

La Serbia sull’orlo: tra isolamento europeo, piazze in rivolta e simboli che cambiano
domenica, 24 Agosto 2025
1 minuto di lettura

Il 18 luglio 2025, l’Unione Europea ha approvato un nuovo pacchetto di sanzioni contro Russia e Bielorussia, confermando la linea dura in difesa dell’Ucraina. Il provvedimento, che vieta l’export di tecnologie a duplice uso a Minsk e impone restrizioni sull’import di derivati petroliferi russi, ha visto l’adesione compatta di diversi Paesi europei e balcanici. Albania, Moldavia e Norvegia si sono allineate con convinzione. Ma la Serbia ha scelto, ancora una volta, di restare fuori. Una decisione che non sorprende ma che pesa. Belgrado continua a mantenere un’ambigua neutralità che, nella realtà dei fatti, appare come un progressivo allontanamento dal percorso europeo.

In un momento cruciale per la sicurezza del continente, la posizione del presidente Vučić rappresenta una crepa geopolitica non trascurabile, confermando quanto il legame storico con Mosca continui a dettare la linea della politica estera serba. Non si tratta di una semplice divergenza tecnica: è un orientamento che rischia di isolare ulteriormente la Serbia, anche agli occhi di quei Paesi membri che ancora credono nel suo futuro europeo.

Una protesta che si frammenta

Da novembre 2024, la Serbia è attraversata da un moto di protesta che non accenna a placarsi. Partito come reazione al tragico crollo della pensilina ferroviaria di Novi Sad, il movimento studentesco ha assunto via via contorni più politici. Le richieste di giustizia si sono trasformate in una critica frontale al potere. Ma nelle ultime settimane, la protesta ha cambiato pelle: tra gli striscioni e le voci della piazza si sono inseriti simboli ultranazionalisti, croci ortodosse, slogan antieuropei.

La radicalizzazione in atto rischia di dividere il fronte studentesco, alimentando l’instabilità. Il governo di Vučić approfitta di queste spaccature: reprime con la forza e scredita con la propaganda. I manifestanti vengono etichettati come “traditori” e “terroristi”, mentre l’opinione pubblica è bombardata da una narrazione emergenziale. Intanto, le città diventano teatro di scontri sempre più violenti. La tensione è massima. E il dialogo, assente.

Djoković, simbolo di una Serbia diversa

In questo clima teso si inserisce la vicenda di Novak Djoković. L’icona sportiva nazionale, acclamato per anni come simbolo della Serbia nel mondo, è diventata improvvisamente un bersaglio. La sua solidarietà silenziosa agli studenti – un semplice “Pump it up” a Wimbledon – ha scatenato la reazione furibonda dei media vicini al governo. Denigrazioni, insinuazioni, accuse di tradimento.

Il trasferimento del torneo ATP da Belgrado ad Atene è stato letto come un segnale chiaro: anche chi ha sempre incarnato l’orgoglio serbo, oggi prende le distanze da un potere percepito come sempre più autoritario. La sua scelta, più morale che politica, è un atto di libertà che rompe il silenzio di molti. Djoković, forse senza volerlo, ha dato un volto al dissenso. E in una Serbia che rischia il ritorno a logiche di repressione e divisione, ogni gesto, anche il più semplice, può diventare una miccia.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Questo modulo raccoglie il tuo nome, la tua email e il tuo messaggio in modo da permetterci di tenere traccia dei commenti sul nostro sito. Per inviare il tuo commento, accetta il trattamento dei dati personali mettendo una spunta nel apposito checkbox sotto:

Potrebbero interessarti

Lavrov boccia i negoziati al Vaticano. Ieri scambio di prigionieri

Mentre proseguono i combattimenti in Ucraina orientale e i raid…

Ucraina: respinti 52 attacchi russi

Le forze armate ucraine hanno respinto 52 attacchi dell’esercito russo,…