Quattro morti, oltre 500 arresti e una capitale paralizzata. È il bilancio drammatico delle proteste scoppiate in Angola dopo l’annuncio del governo di aumentare il prezzo del diesel del 30%, da 300 a 400 kwanzas al litro. La misura, parte di un piano per ridurre i sussidi statali, ha scatenato la rabbia di migliaia di cittadini, già provati da un’inflazione vicina al 20% e da un tasso di disoccupazione che sfiora il 30%. Le manifestazioni, iniziate lunedì con uno sciopero dei tassisti, si sono rapidamente trasformate in scontri violenti. A Luanda, epicentro della protesta, si sono registrati saccheggi, vandalismi e blocchi stradali. Le forze dell’ordine hanno risposto con lacrimogeni e proiettili di gomma. Secondo il portavoce della polizia, Mateus Rodrigues, tra i morti figura anche un agente ucciso nella provincia di Icolo e Bengo. Le immagini diffuse sui social mostrano cittadini in fuga, donne in lacrime e supermercati presi d’assalto. “Come possiamo sfamare i nostri figli?”, ha gridato una manifestante davanti alle telecamere di TV Nzinga. Il presidente João Lourenço ha minimizzato la portata del rincaro, definendolo “tra i più bassi al mondo”, ma le sue parole non hanno placato la tensione. La protesta ha coinvolto anche le città di Benguela e Huambo, mentre a Luanda molte attività commerciali sono rimaste chiuse. Il sindacato dei tassisti ANATA ha preso le distanze dalle violenze, ma ha confermato la prosecuzione dello sciopero: “La nostra voce riflette il grido del popolo angolano”. Secondo Human Rights Watch, la polizia avrebbe già fatto uso eccessivo della forza in precedenti manifestazioni. Intanto, gruppi civici denunciano la repressione e chiedono riforme urgenti. L’Angola, uno dei principali produttori di petrolio in Africa, si ritrova oggi a fare i conti con una crisi sociale che va ben oltre il prezzo del carburante.
