
Food is diplomacy. Il cibo è diplomazia. Forse nessuno slogan potrebbe descrivere meglio il ruolo del cibo italiano all’estero. Ambasciatore di cultura, tradizioni, biodiversità ed eccellenza, il Made in Italy alimentare assume i contorni della gastrodiplomazia ogni volta che varca i confini nazionali e diventa protagonista di grandi fiere internazionali.
L’ultima, in ordine di tempo, il Summer Fancy Food Show di New York, dove l’Italia — Paese partner 2025 — ha dominato il padiglione con 350 stand, 3.500 m² di esposizione e 320 aziende partecipanti, numeri record rispetto all’edizione precedente. Tra autorità consolari, la presenza del ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e della leggenda del calcio azzurro Roberto Baggio, incontriamo Stefano Bonaccini, oggi europarlamentare con deleghe chiave in Agricoltura, Commercio internazionale e relazioni UE–Stati Uniti. Dopo dieci anni alla guida dell’Emilia-Romagna e sei anni della Conferenza delle Regioni, Bonaccini torna al Javits Center di Manhattan, centro esposizioni affacciato sul fiume Hudson, con una visione più ampia e un mandato europeo che mette al centro cibo, export, clima, dazi, ma anche manifatturiero e biotech.
Onorevole, ci ritroviamo a un anno dalla scorsa edizione del Fancy Food, questa volta però lei in una veste nuova, quella di europarlamentare.
«Si, l’anno scorso è stata la mia ultima presenza da governatore della Regione Emilia Romagna: pochi giorni dopo, il 16 luglio, mi sono insediato al Parlamento europeo. Quest’anno sono qui da eurodeputato, membro della Commissione Agricoltura, della Commissione Commercio Internazionale e della delegazione per le relazioni tra Unione Europea e Stati Uniti. Il mio ruolo ora è difendere e valorizzare il sistema agroalimentare europeo e italiano a livello globale».
Che impressione ha di questa edizione 2025 e quale la differenza di prospettiva oggi da eurodeputato?
«La differenza è netta: da presidente ero concentrato sulla mia regione. Oggi guardo al posizionamento strategico delle nostre imprese in Europa e nel mondo, attraverso regole, fondi e politiche comuni. Il padiglione italiano ha numeri record: più di 350 stand, oltre 320 aziende. Un segnale fortissimo».
Un padiglione enorme. Quanto pesa tutto questo sull’export italiano?
«È un segnale fortissimo. Gli Stati Uniti sono il primo mercato di sbocco per il Made in Italy agroalimentare; in Emilia Romagna solo il manifatturiero supera il valore di 8miliardi di euro di export. Questi numeri dimostrano che le nostre imprese non fanno solo “vetrina”, ma business a trecentosessanta gradi: incontrano buyer, chiudono accordi, studiano sinergie. Ecco perché questo evento è cruciale».
Il tema dei dazi crea non poche preoccupazioni. Che aria si respira in Europa al riguardo?
«Un’aria certamente di preoccupazione, perché è una vera e propria “spada di Damocle” che chiaramente allerta imprese ed esportatori. il rischio è che ci sia un aumento dei prezzi dei prodotti, che non vengono collocati solo tra le fasce più ricche, ma mediamente tra tutti i consumatori americani, abituati a gradire la qualità dei nostri prodotti. Questo crea forti allarmismi. Serve una risposta politica netta».
C’è speranza di dialogo attualmente con Washington su questo tema?
«Mi auguro che l’Unione Europea, unita, sappia convincere Trump che le guerre commerciali non hanno mai portato benefici, nella storia. Il governo Meloni deve assumere una posizione chiara: pur mantenendo salda l’amicizia storica con gli USA, non può permettersi ambiguità su un tema così cruciale».
Bonaccini presidente della Regione e Bonaccini europarlamentare. Quale ruolo le piace di più e quale ad oggi, secondo lei, è più utile per l’Italia?
«Da presidente di Regione per dieci anni e poi per sei anche alla guida della Conferenza delle Regioni, mi alzavo la mattina e potevo o dovevo decidere qualcosa. Qui, al Parlamento Europeo possiamo cercare di condizionare in meglio, proposte e decisioni della Commissione Europea, oppure indicare e suggerire possibili nuovi provvedimenti. Io, peraltro, sono stato relatore in Commissione Agricoltura della proposta di bilancio AGRI per il 20282034. Ho avuto la grande soddisfazione che quella proposta, portata prima in Commissione e poi in Parlamento, sia passata senza alcun voto contrario, con il 75 % di voti a favore».
Una battaglia in difesa degli agricoltori…
«Sì, esatto. La Commissione Europea deve essere pronta, da qui a uno o due anni, a difendere gli agricoltori europei, che devono essere tutelati soprattutto in base al loro principale problema, che si chiama redditività. In quella proposta ho indicato nuove soluzioni, ad esempio per la cosiddetta “riassicurazione”, perché di fronte a cambiamenti climatici impetuosi e drammatici -penso agli eventi nella mia terra, o a Valencia pochi mesi fa, dove in poche ore cadono piogge che prima cadevano in un anno – questi cambiamenti nel mondo e in Europa ormai sconvolgono territori ogni settimana o ogni mese. Diverse compagnie assicurative non assicurano più produzioni e imprese».
Ed a tale riguardo, ha proposto un fondo di garanzia. Ce lo spiega?
«Sì, ho proposto per la prima volta l’inserimento nella PAC di un fondo pubblico da circa 2 miliardi di euro per la riassicurazione. Il cambiamento climatico – con eventi estremi e imprevedibili – sta rendendo molte colture non più assicurabili. Serve un supporto pubblico per permettere alle aziende di restare in piedi. I danni si contano spesso in miliardi».
Sente quindi un peso politico diverso…
«Certo, sento una grande responsabilità, perché mai come in questi anni l’Europa deve fare un salto di qualità: oggi è un grande gigante commerciale ed economico, ma non un gigante politico. Serve un’Europa unita non solo nella moneta, ma anche nelle politiche, perché di fronte a colossi come Stati Uniti, Cina o India, ogni singola Nazione – a partire dall’Italia – non riuscirebbe a gestire misure di contrasto o collaborazione, e rischieremmo di subire decisioni. In un’epoca di sovranismi, sento la responsabilità di provare a unire l’Unione Europea, perché tutta insieme ha tanto da dire nel mondo».
Quanta Europa c’è in Italia?
«Che ci piaccia o no, ormai la gran parte delle scelte che ricadono sulle nostre vite si decidono a Bruxelles o a Strasburgo, quindi inevitabilmente c’è molta Europa in Italia. Senza UE perderemmo opportunità, ma con un’UE troppo burocratica, lenta o disunita, non avremmo le stesse opportunità. Parlo di opportunità come l’euro: se non ci fosse stata, i nostri imprenditori non avrebbero potuto competere con territori più avanzati o con una moneta forte come il dollaro».
Quanta Italia c’è in Europa?
«L’Italia in Europa c’è: siamo la seconda manifattura europea; ci siamo per bellezza artistica, architettonica, culturale – che sono apprezzate in tutto il mondo – e come attrattività turistica. Senza di noi, l’Europa non sarebbe altrettanto bella e ricca di eccellenza. A livello politico, non sempre siamo forti come dovremmo. Con la Meloni Ho condiviso buona parte della politica estera, specie sull’Ucraina. Ma sulla crisi a Gaza o nei rapporti con gli USA, serve più chiarezza e coraggio. Altrimenti rischiamo di restare spettatori, mentre altri – Francia, Germania, UK – si muovono per alleanze democratiche e politiche».
Ultima domanda: parlavamo del manifatturiero, ma anche del biotech e delle tecnologie. Veniamo dalla conferenza biotech di Boston dove anche lì l’Italia mostra le sue eccellenze. Lei oltretutto ha fatto missioni negli Stati Uniti se la memoria non mi inganna.
«Certo, in dieci anni da presidente di Regione ho fatto 11 missioni intercontinentali negli Stati Uniti. Nel 2022, a Boston e Philadelphia, il terzo distretto biomedicale più importante al mondo. Ho firmato con la Pennsylvania accordi sulle scienze della vita. Lo scorso aprile, Gavin Newsom è venuto a Bologna per un accordo tra California e Emilia Romagna su AI, tecnologie e agricoltura. A Bologna nascerà la data valley principale d’Europa, e abbiamo collaborazioni con Google, Apple, Hewlett-Packard, Nvidia e aziende della Silicon Valley. Per me quindi gli Stati Uniti sono non solo un paese amico, ma una fonte di grandissime opportunità. Oggi però sentiamo uno scricchiolio in quei rapport e sarebbe colpevole da parte nostra lasciare che l’UE e l’Italia si chiudano. Spero riparta una stagione di collaborazione, non di contrasto».