La tensione è esplosa nuovamente nella capitale serba, dove decine di migliaia di manifestanti sono scesi in piazza il 28 giugno per chiedere elezioni parlamentari anticipate, sfidando il governo del presidente Aleksandar Vučić. La protesta, guidata da studenti e attivisti civici, è degenerata in scontri violenti con la polizia, che ha risposto con lacrimogeni e cariche per disperdere la folla. Il movimento, nato dopo il crollo di una pensilina ferroviaria a Novi Sad che ha causato 16 morti nel novembre scorso, ha assunto un carattere sempre più politico. Gli studenti, che da mesi occupano università e piazze, accusano il governo di corruzione sistemica e di aver insabbiato le responsabilità della tragedia. Ora chiedono un ritorno alle urne, denunciando la mancanza di trasparenza e il deterioramento dello stato di diritto. Durante la manifestazione, i leader del movimento hanno lanciato un ultimatum a Vučić, chiedendo l’indizione di elezioni entro l’autunno. Il presidente ha risposto in diretta televisiva, respingendo le richieste e definendo l’ultimatum “inaccettabile”. “Non ci sarà alcuna elezione prima del 2026”, ha dichiarato, accusando l’opposizione di voler destabilizzare il Paese. Gli scontri si sono concentrati nei pressi del municipio di Belgrado, dove alcuni manifestanti hanno tentato di forzare l’ingresso. La polizia ha arrestato oltre 30 persone, mentre due agenti sono rimasti feriti. Le immagini dei tafferugli hanno fatto il giro dei social, alimentando la rabbia e la solidarietà in tutto il Paese. La protesta, che si è svolta in contemporanea in altre città serbe, segna un nuovo capitolo nella crescente frattura tra istituzioni e società civile. E mentre il governo chiude al dialogo, le piazze sembrano sempre più determinate a farsi sentire.