mercoledì, 16 Aprile, 2025
Attualità

Clima, meno spazio nei media e più resistenze alla transizione ecologica

Greenpeace e l'Osservatorio di Pavia denunciano un forte calo delle notizie sul cambiamento temperature in giornali e telegiornali

Nel 2024 i temi legati alla crisi climatica sono finiti sempre più in fondo all’agenda dei media italiani. A dirlo è il nuovo rapporto dell’Osservatorio di Pavia per Greenpeace, che ogni anno analizza come i principali mezzi di informazione raccontano il cambiamento climatico. Secondo i dati raccolti, l’interesse dei media è calato drasticamente: rispetto al 2023, le notizie sui quotidiani sono diminuite del 47%, mentre nei telegiornali si è registrato un calo del 45%. In pratica, sui giornali si è parlato di clima in media solo una volta ogni due giorni, mentre in TV un servizio sull’argomento è andato in onda circa ogni dieci giorni.

Più spazio alla pubblicità delle aziende inquinanti

Mentre calavano le notizie sul clima, aumentavano invece le pubblicità di aziende considerate inquinanti, cioè quelle che operano in settori come il petrolio, il gas, l’automobile, il trasporto aereo e quello marittimo. Queste aziende hanno comprato più spazi pubblicitari sui quotidiani italiani: 1.284 inserzioni nel 2024, contro le 1.229 dell’anno precedente. Un dato che, secondo Greenpeace, mostra come l’informazione italiana rischi di essere influenzata dal peso economico degli inserzionisti. Secondo l’associazione, la presenza massiccia di queste pubblicità può portare i media a evitare di parlare apertamente delle responsabilità di queste imprese nella crisi climatica, per non compromettere i rapporti con chi finanzia le pagine dei giornali.

Chi parla di clima? Più politici che scienziati

Lo studio ha anche analizzato chi prende la parola quando si parla di clima. Nei quotidiani, il 40% delle notizie ha come fonte aziende o rappresentanti del mondo economico. Nei telegiornali, invece, sono i politici e le istituzioni a dominare il dibattito, con il 43% delle dichiarazioni. Mancano quasi del tutto le voci della scienza, degli esperti del clima o delle associazioni ambientaliste. E anche quando si parla di crisi climatica, spesso si evita di fare nomi e cognomi: secondo Greenpeace, in un intero anno di telegiornali serali, le compagnie di combustibili fossili – cioè quelle che estraggono e vendono petrolio, gas e carbone – sono state indicate come responsabili del riscaldamento globale soltanto una volta.

Sempre più voci contrarie alla transizione ecologica

Un altro dato significativo è l’aumento delle notizie che contengono resistenze o critiche alla transizione ecologica. Con questo termine si indica il processo di cambiamento verso un’economia più sostenibile, basata su fonti di energia rinnovabile e su un uso più efficiente delle risorse. Il 17% degli articoli di giornale e il 19% dei servizi televisivi includeva toni critici o contrari a questo percorso. Si tratta di una crescita rispetto al 2023, che preoccupa Greenpeace. L’associazione fa notare che spesso queste critiche arrivano dai vertici politici, in particolare dai membri dell’attuale governo, che hanno guidato gran parte del dibattito mediatico sul tema. Le loro dichiarazioni si concentrano soprattutto sul costo economico della transizione, sulla necessità di rivedere le scadenze previste dal Green Deal europeo – il piano dell’Unione Europea per rendere l’economia sostenibile – e sul sostegno al nucleare, definito “pulito e sicuro”. Inoltre, viene spesso criticata la direttiva Case Green, che chiede di migliorare l’efficienza energetica degli edifici per ridurre sprechi e inquinamento.

Il clima resta fuori dal discorso politico

Greenpeace sottolinea come il tema della crisi climatica venga evitato nel dibattito politico. “Il 64% delle dichiarazioni dei leader politici non ha mai nominato direttamente la crisi climatica”, osserva il rapporto. Questo porta a un discorso pubblico sempre più frammentato e polarizzato, cioè diviso tra posizioni opposte che faticano a dialogare. Secondo l’organizzazione, molte richieste di maggiore realismo e prudenza rischiano di trasformarsi in una vera e propria opposizione sistematica a qualsiasi politica ambientale. In altre parole, il pragmatismo invocato da alcuni rischia di diventare una scusa per non agire affatto.

Un rischio per la qualità dell’informazione

Federico Spadini, portavoce di Greenpeace Italia, lancia l’allarme: “La presenza massiccia delle pubblicità di aziende inquinanti espone la stampa italiana al rischio di autocensura preventiva quando si tratta di tirare in ballo i responsabili del riscaldamento globale e di raccontare le soluzioni più efficaci per contrastarlo”. Secondo Spadini, uno degli effetti più gravi di questa situazione è l’indebolimento del legame tra la crisi climatica e la necessità di una transizione energetica. In un contesto dove le politiche per il clima vengono spesso messe in discussione, si rischia di perdere di vista l’urgenza di agire.

Un patto da spezzare

Per Greenpeace, la mancanza di una copertura mediatica adeguata e la crescente resistenza politica rischiano di frenare seriamente gli sforzi per affrontare il cambiamento climatico. “È necessario rompere al più presto quel patto di potere fra aziende fossili, politica e media che impedisce al nostro Paese un vero impegno nella riduzione delle emissioni e nella transizione verso le energie rinnovabili”, conclude Spadini.

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