Anche quest’anno è stato celebrato l’8 marzo in memoria di un tragico evento di cui le nuove generazioni hanno sicuramente perso memoria. Come se un ramo di Mimosa possa sanare le ferite di quelle operaie morte nel 1908 a New York o l’amor proprio delle donne, che ancora nel 2025, lottano perché siano riconosciuti loro anche i più basici diritti. Lavarsi la coscienza con una festività comincia a pesare a chi quell’evento funesto lo ricorda bene e a chi si affaccia oggi nel mondo del lavoro e scopre che in Italia il gap gender esiste ancora. Anche oggi, infatti, le donne affrontano maggiori ostacoli nella crescita professionale, vengono spesso escluse da posizioni di leadership e ricevono stipendi più bassi dei colleghi maschi.
Lo rileva il Gender Policy Report 2024 INAPP, l’Istituto Nazionale per le Analisi delle Politiche Pubbliche, vigilato dal Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che si occupa di studio, ricerca, monitoraggio e valutazione delle politiche pubbliche negli ambiti del lavoro, istruzione e formazione, protezione sociale, politiche attive e passive del lavoro, terzo settore, inclusione sociale, e delle politiche che producono effetti sul mercato del lavoro.
Le principali criticità
Il Report, però, non riguarda solo le statistiche, ma rappresenta opportunità perse, talenti non valorizzati e voci inascoltate. Si parla di un gender gap che persiste in maniera significativa nel nostro Paese, con solo alcuni progressi contro profonde criticità strutturali:
• molte più donne lavorano, ma in condizioni peggiori. Infatti, il tasso di occupazione femminile è arrivato al 52,5% mentre il part-time è salito al 58%, segnalando una crescita in forma più instabile;
• nonostante un lieve aumento delle donne in ruoli dirigenziali, il divario nei livelli apicali rimane rilevante così come il gender pay gap medio, arrivando a toccare i 5.000 euro. Infatti, il 18,5% delle donne percepisce un reddito inferiore al 60% della media nazionale, rispetto al 6,4% degli uomini. Il gap pensionistico fra donne e uomini si afferma al 30,1%;
• l’accesso insufficiente ai servizi di conciliazione, dovuto alla carenza di asili nido e politiche di supporto, si inserisce in un contesto ancora più ampio, fatto di difficoltà in cui le donne si trovano ad affrontare anche un preoccupante aumento delle molestie sul lavoro, salite all’81,6%.
Cosa stanno facendo le Istituzioni
Se questi dati mostrano da una parte un sensibile miglioramento nei tassi di occupazione e disoccupazione, dall’altra denunciano un peggioramento delle condizioni di lavoro, dei salari e della conciliazione familiare, con una crescente precarizzazione del lavoro femminile.
Lo Stato Italiano ha presentato alcune proposte per far fronte a questa situazione attraverso la promozione di politiche aziendali per la riduzione della precarizzazione, il miglioramento della stabilità lavorativa e incentivi volti all’assunzione di donne; un aumento di strutture a disposizione delle donne, come asili nido e scuole grazie al PNRR, e sportelli di sostegno e protezione per le vittime di violenza; il recepimento della Direttiva Europea 2023/970 per la trasparenza retributiva, che mira a incentivare la parità economica tra uomo e donna. Tutte misure che nei fatti si stanno dimostrando ancora limitate, rispetto al fatto che l’emergenza riguarda problematiche strutturali.
Applicare la Direttiva richiede cambiamenti profondi
La stessa trasposizione della Direttiva europea non può concretizzarsi in un recepimento meccanico della normativa, ma richiede una riflessione approfondita che investa il sistema retributivo e la contrattazione collettiva, il ruolo dei soggetti deputati a monitorare e contrastare le discriminazioni retributive e il sostegno dei lavoratori e delle lavoratrici nelle sedi legali. Richiede, cioè un complesso insieme di regole, come si legge anche nelle conclusioni del Rapporto, per contribuire davvero alla riduzione del divario salariale di genere e rappresentare una spinta verso una maggiore consapevolezza e rispetto della parità di trattamento.