Striscia di Gaza, Israele spegne anche l’elettricità. A Doha riprendono i negoziati sulla fase due dell’accordo di cessate il fuoco.
La Striscia di Gaza si trova nuovamente al centro di una crisi umanitaria, in un momento delicato come il Ramadan, aggravata dalla decisione di Israele di interrompere completamente la fornitura di elettricità dopo il blocco degli aiuti umanitari. Mentre Hamas denuncia la mossa come un “ricatto inaccettabile”, la comunità internazionale si mobilita per cercare una soluzione alla crisi. A Doha riprendono i negoziati per un’estensione del cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi, mentre emergono nuove proposte di tregua a lungo termine.
Crisi umanitaria
Il ministro dell’Energia israeliano, Eli Cohen, ha firmato un ordine che impone alla Israel Electric Corporation di interrompere completamente la fornitura di energia elettrica alla Striscia di Gaza. In precedenza, Israele garantiva una minima fornitura destinata esclusivamente all’impianto di depurazione, ma anche questa è stata revocata. La decisione, secondo Cohen, rientra in una strategia più ampia per esercitare pressioni su Hamas affinché accetti un’estensione del cessate il fuoco e rilasci gli ostaggi israeliani. Il blocco dell’elettricità si aggiunge alla chiusura dei valichi per l’ingresso di beni essenziali, lasciando la popolazione di Gaza senza acqua potabile, cibo e cure mediche adeguate. Hamas ha condannato con fermezza la decisione israeliana, definendola un tentativo di coercizione politica. “Condanniamo il taglio dell’elettricità dopo che Gaza è già stata privata di cibo, medicine e acqua”, ha dichiarato Izzat al-Rishq, membro dell’ufficio politico dell’organizzazione. “Israele usa tattiche di ricatto economico per spezzare la resistenza, ma non ci faremo intimidire”, ha aggiunto.
Trattative a Doha
Parallelamente alla crisi umanitaria, si svolge a Doha un nuovo round di negoziati tra Israele e Hamas, con la mediazione del Qatar e degli Stati Uniti. Sul tavolo c’è il cosiddetto “piano Witkoff”, dal nome dell’inviato speciale statunitense Steve Witkoff. Il piano prevede che Hamas rilasci 10 ostaggi, tra cui l’americano-israeliano Idan Alexander, in cambio di un’estensione della tregua di 60 giorni. Secondo le indiscrezioni di Channel 12, Witkoff è atteso in Arabia Saudita prima di recarsi a Doha per coordinare le trattative. L’obiettivo degli Stati Uniti è evitare che la crisi degli ostaggi si protragga oltre, con Witkoff che ha dichiarato a Fox News: “Questa situazione non può continuare. Gli ostaggi stanno tornando malati, denutriti e senza cure mediche. Serve una scadenza chiara per questa crisi”.
Hamas, tregua di 5-10 anni
In un colpo di scena, l’inviato speciale degli Stati Uniti per gli ostaggi, Adam Boehler, ha rivelato in un’intervista a Kan TV che Hamas avrebbe avanzato una proposta di tregua più estesa, da cinque a dieci anni, accompagnata da un disarmo graduale. L’accordo prevedrebbe la rinuncia alle armi da parte di Hamas e un monitoraggio internazionale per evitare la costruzione di nuovi tunnel o il riarmo del gruppo. Boehler ha definito la proposta “una base di partenza interessante” e ha assicurato che gli Stati Uniti si impegnano a garantire il rilascio sia degli ostaggi americani che di quelli israeliani. Tuttavia, fonti israeliane hanno mostrato scetticismo, temendo che Hamas possa usare la tregua per riorganizzarsi militarmente.
10.000 siriani fuggono in Libano
Oltre alla crisi di Gaza, un’altra emergenza umanitaria si sta sviluppando in Siria, dove 10.000 persone sono fuggite verso il Libano a causa delle violenze tra sostenitori del deposto presidente Bashar al-Assad e le nuove forze di sicurezza. Secondo il quotidiano L’Orient-Le Jour, i rifugiati hanno attraversato a piedi il fiume Nahr al-Kabir, stabilendosi nel governatorato libanese di Akkar. Le autorità locali hanno confermato che tredici villaggi hanno accolto i nuovi arrivati, offrendo riparo in moschee ed edifici comunali. Tuttavia, la situazione resta critica e il governo libanese ha chiesto assistenza internazionale per gestire l’afflusso di profughi.