La seconda fase del cessate il fuoco a Gaza tra Israele e Hamas che doveva entrare in vigore ieri, prevedeva la consegna dei rimanenti ostaggi in cambio di prigionieri palestinesi in vista del ritiro di Israele e la fine della guerra. Ma la prima fase si è conclusa senza un accordo sul prosieguo: i negoziati tra le due parti si sono interrotti ieri dopo che il team israeliano ha insistito sulla proposta del segretario di Stato Steve Witkoff per estendere la tregua fino alla fine del Ramadan e alla Pasqua ebraica, ovvero fino al 20 aprile con il rilascio immediato di metà degli ostaggi detenuti da Hamas, mentre la liberazione degli altri sarebbe subordinata a un cessate il fuoco permanente. La proposta di Witkoff sarebbe “come un corridoio per i negoziati sulla fase due. Israele è pronto per questo”, ha detto il primo ministro Benjamin Netanyahu all’inizio della riunione di governo. Tuttavia, il governo Netanyahu ha anche sottolineato che, senza una svolta, l’opzione militare resta sul tavolo.
Hamas ha definito la proposta “inaccettabile”, ritenendo che si tratti di un modo per evitare il ritiro delle truppe dall’enclave, anche dal corridoio strategico di Filadelfia, e di non affrontare la fine della guerra, come stabilito nel testo firmato a Doha a gennaio. La reazione di Israele a questo rifiuto è stata, come minacciato nei giorni scorsi, di sospendere l’ingresso di aiuti umanitari nella Striscia di Gaza. Netanyahu ha dichiarato che “Israele non permetterà una cessazione delle ostilità senza il rilascio dei nostri ostaggi. Se Hamas continuerà nel suo rifiuto, ci saranno ulteriori conseguenze”, si legge in una nota del suo ufficio. La decisione di bloccare gli aiuti è stata presa durante una riunione con il ministro della Difesa Israel Katz, segnale di una possibile ripresa dell’offensiva militare.
“Misura simbolica”
Hamas ha condannato la decisione israeliana definendola “un crimine di guerra e un attacco all’accordo di cessate il fuoco”. Secondo il movimento palestinese, lo stop agli aiuti umanitari dimostra ancora una volta il “disprezzo di Netanyahu per le leggi internazionali”. Secondo fonti israeliane, tuttavia, il blocco degli aiuti sarebbe in gran parte simbolico: Tel Aviv sostiene che nelle ultime sei settimane siano entrati a Gaza 25.200 camion carichi di aiuti, accumulando scorte sufficienti per almeno quattro mesi. Hamas, dal canto suo, replica che il controllo israeliano sulle forniture ha già reso insufficiente il flusso di cibo e medicinali, mentre le condizioni della popolazione continuano a peggiorare.
Reazioni internazionali
La decisione di Israele ha tuttavia sollevato reazioni a livello internazionale. l’Egitto, paese mediatore, ha espresso preoccupazione: il ministro degli Esteri Badr Abdelatty ha chiesto all’UE di esercitare la “massima pressione su Israele” affinché rispetti l’accordo di cessate il fuoco. L’Unione Europea ha in effetti chiesto che gli aiuti umanitari continuino ad arrivare nella Striscia “senza condizioni”, sottolineando la necessità di un accesso continuo e di finanziamenti adeguati. La commissaria UE per la crisi, Hadja Lahbib, ha ribadito che il blocco degli aiuti rischia di aggravare ulteriormente una situazione già drammatica. Anche La Croce Rossa ha lanciato un appello affinché la tregua venga mantenuta, ricordando che la sua rottura “farebbe sprofondare di nuovo la regione nella disperazione”. Parallelamente il Segretario di Stato americano Marco Rubio ha firmato una dichiarazione per accelerare la consegna di armamenti militari a Israele per circa 4 miliardi di dollari, sottolineando che le limitazioni sulle armi fornite a Israele imposte dall’ex presidente Joe Biden è stato revocato.
Minaccia Houthi
In questo scenario la crisi si estende anche oltre i confini di Gaza, con l’intervento degli Houthi. I miliziani dello Yemen hanno infatti minacciato di riprendere gli attacchi contro Israele in risposta alla sospensione degli aiuti umanitari. “Se Israele ritorna alla guerra, l’intera entità sionista tornerà sotto il fuoco”, ha dichiarato il leader Houthi Abdul Malik al-Houthi.