Terminata la prima fase dell’accordo sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e lo scambio dei prigionieri, oggi sarebbe dovuta iniziare la seconda fase. Hamas avrebbe rilasciato gli ostaggi ancora detenuti e Israele i prigionieri palestinesi, oltre a ritirarsi dall’enclave, compreso dal corridoio di Filadelfi, al confine con l’Egitto. Ma la tregua rischia di spezzarsi dopo il netto rifiuto da parte di Hamas alle insistenze israeliane per prolungare la prima fase di 42 giorni invece di andare avanti verso una pace duratura. Israele non intende ritirarsi dalla Striscia, “mantenendo l’opzione di riprendere i combattimenti a Gaza”, ha dichiarato il portavoce di Hamas, Hazem Qassem, accusando lo Stato ebraico di voler evitare un impegno concreto per la fine della guerra. I negoziati si sono quindi fermati e la delegazione israeliana è rientrata in patria senza alcun progresso. Secondo i media israeliani, il primo ministro Benjamin Netanyahu ha in effetti già ordinato alle forze armate di prepararsi a una possibile ripresa delle ostilità.
Secondo quanto riportato dalla televisione israeliana Channel 13, alcuni funzionari hanno confermato che i colloqui del Cairo non sono andati bene e che Netanyahu sta valutando di riprendere le operazioni militari. Il premier israeliano discuterà con i suoi consiglieri le opzioni disponibili una volta scaduto l’attuale cessate il fuoco. Mentre Israele ha escluso l’ipotesi di un ritiro dalla Striscia, i mediatori internazionali stanno cercando di guadagnare tempo per trovare una soluzione diplomatica che scongiuri il ritorno delle ostilità. La situazione, tuttavia, resta estremamente fragile e il rischio di una nuova guerra è più concreto che mai.
Lo scenario internazionale
Nel contesto di questo braccio di ferro, il segretario generale dell’ONU, Antonio Guterres, ha lanciato un appello per il mantenimento della tregua e per la prosecuzione del rilascio degli ostaggi. “I prossimi giorni sono critici. Le parti non devono lesinare sforzi per evitare una rottura dell’accordo”, ha dichiarato, avvertendo inoltre contro qualsiasi progetto di “trasferimento forzato di popolazione” da Gaza e ogni forma di “pulizia etnica”. Guterres parteciperà martedì prossimo a un vertice straordinario della Lega Araba dedicato alla ricostruzione della Striscia. Parallelamente, il presidente libanese Joseph Aoun ha criticato Israele per non aver rispettato gli accordi di ritiro dal sud del Libano, sostenendo che cinque posizioni strategiche chiave siano ancora sotto controllo israeliano. “Non ci siamo sorpresi… perché da loro ci si aspetta sempre il peggio”, ha dichiarato Aoun, ribadendo le pressioni esercitate da Francia e Stati Uniti affinché Israele lasci definitivamente quelle aree.
controllo più rigido di Gaza
L’atteggiamento di Israele nei confronti di Gaza lascia aperti interrogativi sulle sue reali intenzioni. Secondo il quotidiano britannico The Guardian, l’esercito israeliano ha presentato alle Nazioni Unite un piano di gestione della Striscia che prevede un controllo ancora più stretto rispetto al periodo antecedente la guerra. Il progetto mira a distribuire aiuti attraverso hub logistici gestiti dall’IDF e da soggetti palestinesi selezionati, una strategia che solleva dubbi sulla volontà del governo Netanyahu di un vero ritiro. Il piano sembra una riproposizione del modello delle “bolle umanitarie”, testato oltre un anno fa nel nord della Striscia e successivamente abbandonato. Ora, tuttavia, queste aree sarebbero direttamente sotto il controllo dell’IDF o di appaltatori di sicurezza privati. Fonti umanitarie avvertono che tale schema rafforzerebbe l’influenza israeliana sulla vita quotidiana dei palestinesi, rendendo improbabile una vera autonomia per Gaza.
La terza fase
L’impasse nei negoziati avrà probabilmente ricadute anche sulla terza fase dell’accordo, prevista a partire dal 12 aprile, che dovrebbe riguardare un piano di ricostruzione della Striscia di Gaza con un orizzonte temporale di tre-cinque anni sotto supervisione internazionale. In questa fase è previsto anche il ritorno delle salme degli ostaggi israeliani, stimati in circa 30 vittime. Tuttavia, senza un accordo definitivo sulla seconda fase – che prevede il ritiro israeliano e un cessate il fuoco permanente – il futuro della tregua resta incerto e potrebbe portare a una nuova escalation militare.