sabato, 1 Marzo, 2025
Esteri

Tregua scaduta a Gaza, riprendono i negoziati

Israele vorrebbe prolungare la prima fase per il rilascio di tutti gli ostaggi, mentre Hamas chiede che si entri subito nella seconda fase dell'accordo

Ieri la fragile tregua tra Israele e Hamas è ufficialmente terminata, e al Cairo sono ripresi i negoziati per trovare un accordo per la seconda fase. Ma la speranza di un nuovo cessate il fuoco si scontra con la realtà di una regione ancora intrappolata in un conflitto senza fine. Israele punta a estendere la prima fase dell’intesa di almeno 42 giorni, con uno schema che prevede la liberazione di tre ostaggi ogni settimana prima di discutere un cessate il fuoco più ampio, mentre Hamas continua a chiedere un impegno chiaro per un cessate il fuoco definitivo e insiste per passare quindi alla seconda fase, che prevede il ritiro delle forze israeliane dalla Striscia di Gaza. Fonti israeliane sottolineano che le possibilità di un accordo immediato sono scarse, ma i colloqui proseguono sotto la mediazione dell’Egitto. Oggi, se non ci saranno accordi, potrebbe essere il primo shabbat senza liberazione di ostaggi, mentre per i musulmani comincia il ramadan e, come ormai è consuetudine, Israele ha imposto misure restrittuve alla Spianata delle Moschee a Gerusalemme. Intanto, il numero di ostaggi rimasti a Gaza si attesta a 59, di cui 24 ritenuti ancora in vita.

Israele si prepara a un ritorno alle ostilità

Israele ha chiarito invece che non si ritirerà dal corridoio di Filadelfia, la zona cuscinetto tra la Striscia di Gaza e l’Egitto, nonostante ciò fosse previsto nell’intesa. Il ministro della Difesa Israel Katz ha dichiarato che l’esercito rimarrà nella regione per impedire il riarmo di Hamas e scongiurare nuovi attacchi. Dal canto suo, Hamas ha definito questa mossa una “violazione dell’accordo” e ha ribadito che non rilascerà altri ostaggi finché Israele non mostrerà un impegno concreto per la fine della guerra. Alcune fonti palestinesi hanno suggerito che potrebbero esserci compromessi parziali, come il rilascio di ostaggi malati o deceduti in cambio di prigionieri palestinesi e maggiori aiuti umanitari. Tuttavia Israele è già pronto a riprendere le operazioni militari a Gaza qualora i negoziati fallissero. Secondo fonti occidentali citate dal Times of Israel, l’IDF sta elaborando nuove strategie di combattimento più intense rispetto all’ultimo anno di guerra; uno scenario che rafforza il timore che la tregua potrebbe essere solo temporanea. Il ministro della difesa Israel Katz ha spiegato che Israele “punta a riportare indietro tutti” gli ostaggi”, e il modo più efficace per farlo “è che Hamas sappia che l’ Idf è pronto a tornare in guerra”.

Libano e Cisgiordania

L’instabilità si estende anche al Libano, dove caccia israeliani hanno sorvolato il sud del Paese durante la visita del premier libanese Nawaf Salam in un atto evidentemente intimidatorio. Nel corso di una visita alla caserma Benoit Baraka a Tiro, il premier libanese infatti ha ribadito l’impegno del governo nel rafforzare l’esercito nazionale. Ha sottolineato il ruolo cruciale delle forze armate nel garantire la sicurezza del Paese e la protezione della sovranità. In un post su X, Salam ha definito l’esercito “la spina dorsale della sovranità e dell’indipendenza”, evidenziando gli sforzi per riportare stabilità nel sud del Libano e assicurare il ritorno sicuro degli sfollati nei loro villaggi.

Anche la Cisgiordania è teatro di nuovi scontri, con Israele che intensifica le operazioni per prevenire attacchi da parte di gruppi armati palestinesi. L’esercito israeliano ha inoltre dichiarato di aver ucciso un membro di Hezbollah coinvolto nel traffico di armi dalla Siria, aumentando la tensione tra le due parti. Parallelamente nel nord di Israele, un attacco con un’auto lanciata contro una fermata dell’autobus nell’area di Karkur, vicino Haifa, ha ferito 14 persone. L’autore dell’attentato, identificato come un palestinese, è stato ucciso dalla polizia. Hamas ha rivendicato l’attacco, definendolo “una risposta naturale” alle operazioni israeliane in Cisgiordania e un segnale rivolto al governo di Tel Aviv.

 

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