La consueta indagine annuale di Confindustria sul lavoro, svolta tra febbraio e aprile 2024, ha fornito preziose informazioni riguardo la struttura dell’occupazione e le politiche di gestione del lavoro nelle aziende associate, prendendo in considerazione sia il 2023 che l’inizio del 2024. La ricerca ha messo in luce diverse tematiche chiave, tra cui le difficoltà di reperimento delle competenze, le iniziative di welfare aziendale e la diffusione del lavoro agile.
Reperimento delle competenze
Uno degli aspetti più critici evidenziati dall’indagine è la difficoltà delle imprese nel reperire competenze specifiche. Il 69,8% delle aziende con ricerche di personale in corso ha dichiarato di riscontrare difficoltà, con una prevalenza di problematiche relative alle competenze tecniche (69,2%) e alle mansioni manuali (47,9% a livello nazionale e 58,9% nel settore industriale). Le difficoltà si manifestano soprattutto nei settori legati alla transizione digitale (due terzi dei casi), all’internazionalizzazione (un terzo dei casi) e, in misura minore, alla transizione green (15%). Le azioni intraprese dalle aziende per colmare queste lacune includono principalmente attività di formazione per il personale esistente (59,7%), il ricorso a servizi esterni come le consulenze (49%) e la partecipazione a programmi educativi sul territorio (28,5%). Il lavoro agile ha registrato un aumento significativo nell’adozione da parte delle imprese. Nel 2023, il 32,6% delle aziende ha utilizzato questa modalità di lavoro, un incremento notevole rispetto al periodo pre-Covid. In queste imprese, il 34% dei dipendenti non dirigenti ha lavorato in modalità agile per 2 o 3 giorni a settimana, indicando un cambiamento strutturale nell’organizzazione del lavoro.
Contrattazione aziendale e welfare
L’indagine ha continuato a monitorare l’applicazione dei contratti collettivi aziendali, rilevando che all’inizio del 2024 oltre un quarto delle imprese (25,2%) applica un contratto aziendale. La diffusione è maggiore nell’industria (33,4%) rispetto ai servizi (18,1%) e nelle imprese con più di 100 dipendenti (76,9%) rispetto a quelle con meno di 15 dipendenti (11,6%). Complessivamente, il 65,1% dei dipendenti del campione lavora in aziende che applicano contratti aziendali. Le principali materie regolate dai contratti aziendali includono i premi di risultato collettivi (60,4%), la conversione di questi premi in welfare (47,7%), l’orario di lavoro (46,7%), i servizi di welfare aggiuntivi (39%) e la conciliazione vita-lavoro (36,7%).
Un focus specifico è stato dedicato ai premi variabili collettivi e alla loro conversione in welfare.
Nel 2023, oltre il 60% delle imprese ha effettivamente erogato i premi variabili previsti dal contratto aziendale. Inoltre, nel 40,2% delle aziende, mediamente un terzo dei lavoratori ha scelto di convertire i due terzi del premio ricevuto in servizi di welfare. Il 51,3% delle imprese ha dichiarato di erogare welfare, derivante sia dalla contrattazione aziendale (14,4%) sia da altre fonti contrattuali o su iniziativa del datore di lavoro.
L’occupazione nelle imprese
L’occupazione è aumentata, trainata da quella femminile. L’occupazione dipendente complessiva nelle imprese associate a Confindustria è aumentata dell’1,4% tra fine 2022 e fine 2023, sintesi di un incremento dello 0,5% nelle imprese dei servizi e dell’1,9% in quelle dell’industria. L’aumento coinvolge le imprese di ogni classe dimensionale – seppur in misura diversa – da quelle fino a 15 dipendenti (+0,6%) a quelle con 16-99 dipendenti (+2,1%) a quelle da 100 dipendenti in su (+1,1%). Nelle imprese associate, la crescita occupazionale nel corso del 2023 è trainata dalla componente femminile (+3,4%), mentre quella maschile risulta pressoché stabile (+0,3%). Secondo i dati della Rilevazione sulle Forze di Lavoro condotta dall’Istat, l’occupazione alle dipendenze complessiva in Italia nel 2023 ha invece registrato una crescita media annua simile per uomini e donne, con un aumento rispettivamente del +2,2% e del +2,5%.
Rispetto alla tipologia contrattuale, nel corso del 2023 nelle imprese associate si registra una crescita degli occupati dipendenti a tempo indeterminato (+1,7%) e una contrazione di quelli a tempo determinato (-5,4%), una divaricazione registrata anche per il complesso dell’occupazione dipendente in Italia (dati Istat). Rispetto al totale, l’occupazione a tempo indeterminato si conferma la tipologia contrattuale di gran lunga prevalente nelle imprese associate (il 92,6% del totale dei dipendenti è impiegato con tali contratti), mentre gli occupati a tempo determinato rappresentano il 5,2% del totale. Tra il 2022 e il 2023 risultano in marcato aumento gli apprendisti (+14,9%), sia nell’industria (+5,4%) sia e soprattutto nei servizi (+29,4%), dove d’altronde erano calati nei tre anni precedenti.
Contratti di somministrazione
Quasi un terzo delle imprese associate (30,6%) ha impiegato nel 2023 almeno un lavoratore in somministrazione a tempo determinato (ex-interinale), con una diffusione più alta nell’industria (39,9%) e nelle grandi imprese (72,3% in quelle con almeno 100 dipendenti). Per dare un’idea dell’intensità di utilizzo, si consideri che il numero di lavoratori in somministrazione di cui si avvalsa l’impresa complessivamente nell’anno è pari mediamente al 7,4% della forza lavoro complessiva riportata al 31 dicembre 2023. La somministrazione a tempo indeterminato (staff leasing) è stata utilizzata mediamente dal 9,6% delle imprese, anche in questo caso più nell’industria (14,3%) e nelle grandi imprese (35,1%), per una quota di lavoratori somministrati in corso d’anno pari all’1,0% della forza aziendale.
Il ricorso alla somministrazione, in termini sia di imprese che lo utilizzano sia di lavoratori coinvolti, è risultato nel 2023 ampio e molto stabile rispetto alla precedente rilevazione relativa al 2021, confermando che si tratta di una forma di impiego a cui le imprese fanno efficacemente ricorso per selezionare tempestivamente risorse specifiche da inserire in organico.
Come nelle precedenti edizioni, anche quest’anno l’indagine misura il turnover in entrata (pari al 17,8% nel 2023) e in uscita (16,2%). Il tasso di turnover complessivo, quindi, dato dalla somma di lavoratori assunti e cessati nel corso dell’anno sul totale dell’occupazione a fine 2022, è risultato pari al 34,0%. Il turnover si conferma decisamente più alto nelle imprese dei servizi (47,1%) rispetto all’industria (25,7%), mentre non si rilevano differenze sostanziali tra classi dimensionali. Gran parte del turnover in uscita è determinato da dimissioni, che hanno rappresentato la causa della fine del rapporto di lavoro nel 65,8% dei casi di cessazione.
Le assenze dal lavoro nel 2023
Tasso di assenteismo più alto in imprese più grandi Nel corso del 2023 le ore lavorabili pro-capite, al netto delle ore di Cassa Integrazione Guadagni, sono state mediamente pari a 1.701. Di queste, 111,9 non sono state lavorate a causa delle assenze dal lavoro (retribuite e non). Il tasso di assenteismo (calcolato come il rapporto tra le ore di assenza e le ore lavorabili) si è dunque attestato al 6,6%. L’incidenza delle assenze, come calcolata sulla base dei dati dell’indagine Confindustria sul lavoro, è risultata più alta nei servizi (7,2%) che nell’industria in senso stretto (6,2%). Il tasso di assenteismo si è confermato crescente all’aumentare della dimensione aziendale: 7,3% in quelle con 100 e più addetti, 4,5% in quelle fino ai 15.
La malattia non professionale si è confermata la causa più frequente di assenza (3,5% delle ore lavorabili di un addetto medio), seguita dai congedi retribuiti (pari all’1,1%), mentre le categorie dei permessi per Legge 104 e degli altri permessi retribuiti rappresentano ciascuna lo 0,7% delle ore di assenza nell’anno. L’incidenza delle assenze è risultata pari al 5,8% tra gli uomini e all’8,3% tra le donne. I congedi parentali spiegano la quasi totalità della differenza, essendo pari al 2,6% delle ore lavorabili per le donne e allo 0,5% per gli uomini.
Le politiche aziendali, il lavoro agile e il capitale umano
Sulla base dei risultati dell’ultima indagine Confindustria sul lavoro, nei primi mesi del 2024 oltre un quarto delle imprese associate (25,2%) sono stimate applicare un contratto aziendale, cioè firmato con RSU/RSA o rappresentanze territoriali. Il dato complessivo risulta come media di una diffusione più alta nell’industria in senso stretto (33,4%) e più bassa nei servizi (18,1%). Gli accordi sono anche molto più diffusi nelle grandi imprese (68,3% tra quelle con almeno 100 dipendenti) rispetto alle piccole (11,8% se i dipendenti sono al massimo 15). Di conseguenza, la percentuale di lavoratori coperti da un contratto aziendale è più alta rispetto alla quota di imprese e raggiunge quasi i due terzi del totale nel campione complessivo (65,1%) e il 70,8% nell’industria in senso stretto.
Tra le materie regolate nei contratti aziendali, in primis, i premi di risultato collettivi: oltre il 60% dei contratti aziendali nelle imprese associate a Confindustria li prevede, e la quota sale all’83,4% tra le imprese con almeno 100 dipendenti (la diffusione raggiunge il 91,3% nelle grandi aziende nell’industria al netto delle costruzioni).
Molto diffuse nella contrattazione aziendale anche la possibilità di conversione del premio di risultato in welfare (47,7%) e la regolazione dell’orario di lavoro (46,7%). In oltre un terzo dei contratti aziendali sono regolati, inoltre, l’offerta di servizi di welfare aggiuntivi rispetto a quelli previsti per legge, CCNL o regolamento aziendale (39%), iniziative di conciliazione vita-lavoro (36,7%) e il lavoro agile (33,9%). Tra le imprese che applicano un contratto aziendale che prevede premi variabili collettivi, il 60,7% dichiara di aver effettivamente erogato un premio nel corso del 2023. Tale quota cresce al crescere della dimensione aziendale, passando dal 57,4% registrato per le piccole imprese, al 60,2% delle medie, al 79,5% per le grandi imprese. Nel 2023 l’incidenza dei premi variabili collettivi sulla retribuzione annua complessiva è stata mediamente pari al 4,3% per operai e impiegati e al 3,8% tra i quadri.
Nell’industria in senso stretto l’incidenza dei premi è mediamente più elevata che nei servizi e risulta particolarmente alta nelle imprese dell’industria oltre i 100 dipendenti: 5,5% per operai e impiegati e 4,5% per i quadri. I risultati dell’indagine mostrano che oltre la metà (il 51,3%) delle imprese associate a Confindustria ha adottato iniziative di welfare, con la quota che sale al 57,0% nell’industria e si ferma al 43,7% nei servizi. La diffusione del welfare cresce con la dimensione aziendale: è maggiore nelle imprese con più di 100 addetti (78,7% la media complessiva, che arriva all’85,2% per quelle industriali), mentre è del 58,8% in quelle medie e del 40,9% in quelle con al massimo 15 addetti.
Il 51,3% delle imprese che sono stimate erogare welfare ai propri dipendenti può essere scomposto in relazione alla fonte istitutiva, ovvero come somma di quelle che lo erogano da contrattazione aziendale (14,4% del totale) e di quelle che invece lo erogano perché previsto da altre fonti, per esempio il CCNL o per iniziativa unilaterale del datore di lavoro. Questo secondo gruppo, per cui la fonte istitutiva del welfare esclude il contratto aziendale, è preponderante a prescindere dal settore e nelle imprese piccole e medie, mentre la contrattazione aziendale si conferma la fonte istitutiva privilegiata nelle grandi imprese.
Con riferimento alle differenti modalità di erogazione del welfare previsto da contrattazione aziendale, nel 32,5% delle imprese il welfare è erogato solo a valle della conversione di un premio di risultato, mentre nel 20,8% dei casi il welfare è previsto esclusivamente in maniera svincolata dal premio di risultato; nel rimanente 46,7% (dunque, nella gran parte dei casi) le imprese prevedono entrambe le modalità. Tra le imprese che hanno erogato premi variabili collettivi nel 2023, l’indagine ha rilevato che nel 40,1% dei casi almeno un lavoratore ha effettivamente convertito il premio in welfare, situazione più comune nell’industria (44,1%) che nei servizi (34,0%) e nelle imprese grandi (49,0%) più che nelle piccole (12,7%). In questi casi, circa un terzo dei lavoratori ha deciso di convertire, mediamente, il 67,1% del premio ricevuto.
Anche l’indagine di quest’anno ha rilevato il grado di diffusione del lavoro agile (o smart working) da parte delle imprese associate in due periodi distinti di tempo, ovvero prima della pandemia e nel 2023. Alle imprese che hanno utilizzato il lavoro agile, è stata inoltre chiesta l’intensità media di utilizzo, in termini di numero di dipendenti per giorni alla settimana (o al mese) di lavoro da remoto.
I risultati indicano che la quota di imprese che utilizzano lo smart working si è quasi quadruplicata, da 8,9% nel pre-pandemia a 32,6% nel 2023. Questa modalità di lavoro si conferma maggiormente diffusa nelle imprese dei servizi (38,5%) rispetto all’industria (28,2%), anche per la natura stessa dell’attività. In particolare, poi, la diffusione del lavoro agile è legata alla dimensione aziendale, essendo presente in meno di un quarto delle imprese piccole, con meno di 15 dipendenti (24,2%), in circa un terzo delle imprese medie, tra 16 e 99 dipendenti (35,5%), e in due terzi delle imprese grandi, con più di 100 dipendenti (66,6%).