Gabriele Checchia, presidente del Comitato Strategico del Comitato Atlantico Italiano, Direttore del Comitato Scientifico della Rivista quadrimestrale di Geopolitica e Commercio Internazionale “GeoTrade” diretta dal Professor Paolo Quercia. Già Ambasciatore in Libano (2006-2010), Rappresentante Permanente italiano presso la Nato a Bruxelles (2012-2014) e successivamente presso le Organizzazioni Internazionali a Parigi (OCSE/ESA/AIE a Parigi dal 2014 al 2016)
Ventisei mesi dopo l’aggressione russa contro l’Ucraina il conflitto sembra in un doppio stallo, militare e diplomatico. Come è possibile uscire da questa impasse?
Sul piano militare le due parti si confrontano in una guerra di attrito con una lenta ma progressiva avanzata russa e un sostanziale insuccesso della controffensiva ucraina che avrebbe potuto ribaltare le sorti del conflitto e mettere in difficoltà la Russia di Putin. Parlo di Russia di Putin perché c’è anche un’altra Russia a noi più vicina che non possiamo abbandonare.
La drammatica carenza di munizioni e di mezzi di difesa antiaerea sono due fattori decisivi che potrebbero creare le condizioni favorevoli per uno sfondamento da parte russa.
Sul piano politico non vedo grandi spiragli. Putin ha ribadito la indisponibilità a qualsiasi negoziato che non sia alle condizioni di Mosca cioè di fatto un asservimento dell’Ucraina alle mire del Cremlino e questo noi non lo possiamo tollerare e dovremmo continuare nella nostra opera di supporto e di sostegno alla resistenza Ucraina in base anche allo spirito dell’articolo 51 delle Nazioni Unite sul diritto, ovvero l’autodifesa di uno Stato aggredito.
C’è stallo militare ma c’è anche stallo diplomatico anche se mi giunge voce che sottotraccia i contatti tra Stati Uniti e Russia non siano mai venuti meno, quantomeno a livello di capi di Stato maggiore. C’è una discreta opera di dialogo tra Usa, Cina e India per dissuadere Mosca dal ricorrere all’utilizzo di armi nucleari tattiche facendo capire che ci sarebbero conseguenze.
C’è una contraddizione nella politica occidentale: riteniamo inaccettabile che Putin si tenga quello che si è preso violando il diritto internazionale, ma non aiutiamo l’Ucraina in maniera adeguata a cercare di riprendersi almeno gran parte dei suoi territori.
La contraddizione è tra la nostra volontà di difendere i nostri valori e le concrete capacità di dare sostegno al popolo ucraino. Per due anni abbiamo fatto il possibile e stiamo provando a continuare a farlo. Ma i nostri arsenali, soprattutto quelli italiani, si stanno svuotando come ci ha ricordato recentemente anche il ministro Crosetto. Quindi vanno individuati i mezzi per fornire all’Ucraina quelle tecnologie difensive moderne di punta che possono consentire di contrastare anche le incursioni aeree russe di droni e di velivoli di alta precisione.
C’è la proposta della Repubblica Ceca di acquistare circa un milione di munizioni sui mercati mondiali anche extra Ue. C’è la volontà della Casa Bianca di continuare a lavorare per sbloccare il pacchetto di 60 miliardi di aiuti tuttora fermo al Congresso. C’è il piano di Stoltenberg di destinare 1000 miliardi in 5 anni da parte della Nato in supporto a Kyiv. Poi c’è il problema europeo di dare finalmente corpo a quella politica estera e di sicurezza comune che purtroppo è ancora ostaggio della regola dell’unanimità.
Io credo che il tentativo apprezzabile e condivisibile ucraino di recuperare tutti i territori persi dal 1991 e dunque con i confini immediatamente successivi all’indipendenza sia un tentativo dalle incerte possibilità di successo perché purtroppo la Russia ormai ha conquistato porzioni importanti del territorio ucraino.
Ma Kyiv deve essere aiutata a recuperare tutto il possibile e bisogna dare all’Ucraina anche una prospettiva politica che possa essere in qualche misura una contropartita per l’eventuale cessione di parti del suo territorio, noi speriamo il meno possibile. Io credo che sia importante la prospettiva europea offerta a Kyiv. Non che questo dia quelle garanzie di sicurezza che potrebbe dare invece all’Ucraina un’adesione alla NATO per la quale, però, manca l’unanimità. Il percorso europeo resta comunque un percorso difficile ma potrebbe dare a Kyiv quella sicurezza politica di non sentirsi abbandonata che potrebbe offrire anche l’incentivo a un negoziato con Mosca se e quando il Cremlino si rivelasse disponibile.
Per ora una trattativa tra Zelenskyy e Putin sembra piuttosto irrealistica. Cosa si può ipotizzare per sbloccare la diplomazia e mettere fine alla guerra?
Un accordo puramente russo-ucraino credo che non sarà più sufficiente per Kyiv dopo la violazione clamorosa da parte di Mosca del memorandum di Budapest. Per la Russia di Putin gli accordi di tutela della sovranità di un Paese terzo sono poco più che carta straccia. Diverso sarebbe se un accordo russo-ucraino fosse incorniciato in un progressivo avvicinamento dell’Ucraina all’Unione europea. Ricordiamo che l’articolo 42 del Trattato Ue obbliga gli Stati membri a intervenire con ogni mezzo possibile in difesa di uno Stato membro aggredito.
Se si incominciasse un negoziato con questa cornice europea forse Zelenskyy potrebbe essere disposto a sedersi al tavolo negoziale con una maggiore serenità meno timori di accerchiamento.
In ogni caso, la trattativa non deve riguardare le condizioni di resa di Kyiv. L’Ucraina deve sedersi ad un tavolo sostenuta dall’Unione europea e anche dall’Alleanza Atlantica anche se i tempi per un ingresso nella Nato non sono prevedibilmente rapidi.
Come potrebbe l’Ucraina sentirsi sicura fuori dalla Nato e con un Putin che non ha rinunciato al suo disegno di ricostruzione dell’impero sovietico?
Per garantire concretamente la sicurezza di Kyiv si potrebbero prendere due esempi: la famosa difesa a porcospino che gli Stati Uniti stanno assicurando da anni con forniture di armi moderne ed efficaci a Taiwan e il modello usato con Israele. Paesi nel mirino di potenze autocratiche vengono resi talmente forti e in grado di difendersi da soli da scoraggiare ogni potenziale aggressore.
Una cornice europea accompagnata da forti garanzie basate su accordi di difesa bilaterali con singoli Stati dell’Unione darebbe forti garanzie che gli ucraini non saranno mai lasciati soli. Bene ha fatto il presidente Meloni a ricordare che la pace non si difende delle parole ma con la deterrenza. Bisogna rendere il potenziale aggressore talmente consapevole dei rischi che correrebbe violando l’integrità territoriale di uno Stato terzo da dissuaderlo proprio dal mettersi in pista con queste mire aggressive.