Il divario nel Sistema sanitario italiano tra il Nord e il Sud del Paese continua a crescere, con un accesso alle cure e una qualità dei servizi che dipendono notevolmente dalla regione di residenza. L’aumento della spesa sanitaria è stato identificato come priorità nazionale, insieme alla necessità di rivedere il metodo di riparto regionale del Fondo sanitario nazionale per tener conto delle disparità socioeconomiche.
L’autonomia differenziata rischia di ampliare ulteriormente queste disuguaglianze, con potenziali effetti devastanti sull’accesso al diritto alla salute. Queste sono le conclusioni principali emerse dal Report Svimez ‘Un Paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla salute’, presentato a Roma in collaborazione con Save the Children. Il report offre uno sguardo dettagliato sulla situazione del Ssn, evidenziando come i servizi di prevenzione e cura siano più carenti al Sud, con una minore spesa pubblica sanitaria e distanze più lunghe per ricevere assistenza, specialmente per patologie gravi.
Divario territoriale
Il divario territoriale inizia fin dalla nascita, con una mortalità infantile significativamente più alta nel Sud rispetto al Nord. Mentre il Ssn italiano è considerato un’eccellenza per la cura dei bambini a livello globale, le disuguaglianze territoriali sono evidenti, con tassi di mortalità infantile che variano notevolmente da regione a regione. Secondo gli ultimi dati Istat disponibili, il tasso di mortalità infantile (entro il primo anno di vita) era di 1,8 decessi ogni 1000 nati vivi in Toscana, ma era quasi doppio in Sicilia (3,3) e più che doppio in Calabria (3,9).
Nel Mezzogiorno meno prevenzione oncologica
Secondo le valutazioni dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), nel biennio 2021-2022, in Italia circa il 70% delle donne di 50-69 anni si è sottoposta ai controlli: circa due su tre lo ha fatto aderendo ai programmi di screening gratuiti. La copertura complessiva è dell’80% al Nord, del 76% al Centro, ma scende ad appena il 58% nel Mezzogiorno. La prima regione per copertura è il Friuli-Venezia Giulia (87,8%); l’ultima è la Calabria, dove solamente il 42,5% delle donne di 50-69 anni si è sottoposto ai controlli.
Fuga dal Sud
La ‘fuga’ dal Sud per ricevere assistenza in strutture sanitarie del Centro e del Nord, soprattutto per le patologie più gravi. Nel 2022, dei 629 mila migranti sanitari (volume di ricoveri), il 44% era residente in una regione del Mezzogiorno. Per le patologie oncologiche, 12.401 pazienti meridionali, pari al 22% del totale dei pazienti, si sono spostati per ricevere cure in un SSR del Centro o del Nord nel 2022. Solo 811 pazienti del Centro-Nord (lo 0,1% del totale) hanno fatto il viaggio inverso. È la Calabria a registrare l’incidenza più elevata di migrazioni: il 43% dei pazienti si rivolge a strutture sanitarie di Regioni non confinanti.
Seguono Basilicata (25%) e Sicilia (16,5%). Al Sud, i servizi di prevenzione e cura sono dunque più carenti, minore la spesa pubblica sanitaria, più lunghe le distanze da percorrere per ricevere assistenza. Save the Children evidenzia numeri crescenti anche nelle migrazioni sanitarie pediatriche da Sud verso il Centro-Nord, segno di carenze o di sfiducia nel sistema sanitario delle regioni del Mezzogiorno: l’indice di fuga – ovvero il numero di pazienti pediatrici che vanno a farsi curare in una regione diversa da quella di residenza – nel 2020 si attesta in media all’8,7% a livello nazionale, con differenze territoriali che vanno dal 3,4% del Lazio al 43,4% del Molise, il 30,8% della Basilicata, il 26,8% dell’Umbria e il 23,6% della Calabria.
Disuguaglianze
L’introduzione dell’autonomia differenziata rischia di amplificare ulteriormente queste disuguaglianze, consentendo alle regioni con maggiore autonomia di accedere a risorse aggiuntive, mentre altre regioni potrebbero subire ulteriori tagli. Questo potrebbe portare a una maggiore frammentazione del sistema sanitario e a un ulteriore ampliamento delle disuguaglianze interregionali nell’accesso alle cure.