Era il 26 settembre del 1988 quando a Valderice, nel trapanese, ‘Cosa nostra’ assassinò il giornalista e sociologo Mauro Rostagno, ‘colpevole’ di indagare sui rapporti della malavita siciliana con la politica locale. E oggi, a 35 anni dall’omicidio di quello che fu anche uno dei fondatori di ‘Lotta continua’, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha commemorato la sua morte, parlando di un vile agguato e puntando sul fatto che da allora “la società ha reagito. Le istituzioni democratiche hanno dimostrato che è possibile combattere e sconfiggere le mafie. I giovani hanno compreso ciò che Rostagno ripeteva: ‘La mafia è la negazione della vita’. Ricordare il suo assassinio richiama al dovere di continuare, in ogni ambito della vita sociale, nell’impegno per la libertà dalle mafie e per lo sviluppo civile delle nostre comunità”. Il Capo dello Stato ha espresso la vicinanza e la solidarietà della Repubblica alla figlia, ai familiari e agli amici di Rostagno, “ucciso per la sua attività di denuncia di reti affaristiche e di trame organizzate dalle cosche. I capi mafiosi avevano adottato una strategia terroristica che colpì barbaramente magistrati, uomini delle Istituzioni e delle forze dell’ordine, con l’intento di annientare la libertà di cittadini e comunità”.
Inchieste scomode
Rostagno dalla metà degli anni Ottanta lavora come giornalista e conduttore per l’emittente televisiva siciliana Radio Tele Cine, dove in seguito si avvale della collaborazione anche di alcuni ragazzi della comunità socioterapeutica Saman di cui era uno dei fondatori. Intervista Paolo Borsellino e Leonardo Sciascia, e indaga su ‘Cosa nostra’. Attraverso la televisione denuncia le collusioni tra la malavita e politica locale: tra i tanti servizi giornalistici di denuncia del fenomeno, la sua trasmissione seguiva tutte le udienze del processo per l’omicidio del sindaco Vito Lipari, nel quale erano imputati i boss mafiosi Nitto Santapaola e Mariano Agate, che durante la pausa di un’udienza mandò a dire a Rostagno che “doveva dire meno minchiate” sul suo conto.
La morte
Rostagno viene ammazzato in un agguato in contrada Lenzi, a poche centinaia di metri dalla sede comunità socioterapeutica Saman di cui era uno dei fondatori, all’interno della sua auto, una Fiat Duna bianca, da alcuni uomini nascosti ai margini della strada; mentre rientrava alla comunità con una giovane ospite (che si salverà divenendo l’unica testimone del delitto) i sicari mafiosi gli spararono con un fucile a pompa calibro 12, che scoppiò in mano a uno degli assassini, e una pistola calibro 38. Per il suo assassinio è stato condannato all’ergastolo il boss trapanese Vincenzo Virga.