E’ cominciato a Washington il processo del secolo. Sotto accusa, al Tribunale federale, big Google che dovrà rispondere di abuso di posizione dominante con il suo motore di ricerca. Sono lontani i tempi di Netscape, Altavista, Lycos, Excite e altri di cui si è persa memoria, appunto, dall’arrivo di Google. E’ il più grande processo antitrust negli Stati Uniti dal 2000. Il processo non prevede una giuria ed è condotto dal giudice distrettuale Amit Mehta, che potrebbe ordinare lo scioglimento della società o modifiche sostanziali delle clausole con cui Google promuove il suo motore di ricerca.
Sentenza molto importante
L’accusa è del Dipartimento di Giustizia statunitense che ritiene gli accordi di Google con aziende come Apple e Samsung, un abuso per rendere il suo motore di ricerca l’opzione predefinita su browser web e smartphone. Questa pratica avrebbero contribuito illegalmente a mantenere il monopolio. Google gestisce più del 90% delle ricerche in tutto il mondo, con un’attività pubblicitaria che produce ricavi per oltre 160 miliardi di dollari. Il processo dovrebbe durare un paio di mesi e la sentenza è importantissima perché potrebbe sconvolgere il settore.
Prima di Google, fu Microsoft
Questo processo arriva dopo venticinque anni dal primo che riguardò le aziende del settore delle nuove tecnologie e che fu avviato contro Microsoft, accusata di aver imposto nel suo sistema operativo Win 98 il browser Explorer. Chi comprava un computer con Windows non aveva altra scelta che utilizzare Explorer. Fu la morte di Netscape Navigator, ma la sentenza, era giugno 2000, non fu né assolutoria né di condanna, però aprì parzialmente il mercato e, tra l’altro, mise le basi proprio per l’affermazione di Google. Nacquero molte start-up e l’anno del millennio, bug a parte, fu la svolta per l’affermazione del mondo digitale. Allora Microsoft fu accusata per aver imposto il browser, mentre oggi Google è accusata per aver stretto accordi da 45 miliardi di dollari per convincere produttori di cellulari, Samsung e Apple soprattutto, a inserire il proprio motore di ricerca in automatico sui propri dispositivi. Cosa che ha fatto arrivare l’azienda a ottenere una quota di mercato del 91%.
Trump contro Big Tech
A portare sotto processo Alphabet, che è la “parent company” di Google, è stata l’amministrazione Trump che è stata molto critica per il dominio del mercato da parte delle Big del digitale. Dall’altra parte la difesa sarà incentrata sul fatto che il predominio è dovuto alla qualità del motore di ricerca e alle capacità manageriali. A decidere, appunto, non una giuria popolare, ma il giudice Mehta considerato “non ostile” alle Big Tech. Da sviscerare ci saranno oltre cinque milioni di pagine di documenti presentati dai mega studi legali che si occupano del caso e ci saranno da ascoltare e interrogare almeno 150 testimoni. Di recente il giudice Mehta ha dichiarato che “Google è così ubiquo da essere diventato un termine globale per indicare la ricerca su internet”. Chissà se una frase così oracolare può nascondere la propensione a una decisione piuttosto che a una contraria.