C’era una volta un partito che si definiva “conservatore e rivoluzionario”, “di lotta e di governo”. Era guidato da un uomo dall’aspetto tormentato, stimato e rispettato anche dagli avversari morto durante un comizio. Ai suoi funerali andò anche Giorgio Almirante. Enrico Berlinguer si rivolterà nella tomba leggendo con quale supponenza – per non dire disprezzo – la giovane segretaria liquida l’uscita di una trentina di dirigenti del Pd ligure. Della serie: qui comando io, prendere o lasciare, se non siete d’accordo e ve ne andate mi fate un favore. Una buona dose di intolleranza che mal si concilia con le prediche “de sinistra” in cui si incensa il valore dell’inclusione che presuppone una disponibilità al dialogo elevata all’ennesima potenza. Perfino nel M5S chi se n’è andato ha avuto trattamenti migliori. Ma tant’è.
Schlein non pare accorgersi che, da quando i gazebo, ribaltando la decisione degli iscritti, l’hanno preferita a Bonaccini, è iniziata una diaspora dal Pd: Enrico Borghi, Andrea Marcucci, Alessio D’Amato, Giuseppe Fioroni, ora decine di dirigenti liguri. Sono in tanti quelli che nel Pd ricorrono agli antiacidi e per ora fanno finta di avere pazienza. Sono obbligati a mordersi la lingua.
Come abbiamo più volte scritto, Schlein deve ringraziare Renzi che, rompendo con Calenda, ha reso meno sicura la casa del centro riformista in cui sarebbero fuggiti a frotte dal Pd. Se Azione e Italia Viva fossero ancora un polo unico con circa l’8% dei voti, ci sarebbe la fila. Ma in vista di elezioni europee alle quali sia Calenda che Renzi si presentano per ora al di sotto del quorum, difficile immaginare che qualcuno del Pd voglia correre rischi. E quindi rimane a masticare amaro. Quousque tandem Elly? Per ora i sondaggi non danno grandi soddisfazioni alla linea massimalista ed escludente di Schlein. Un non successo o – peggio – una sconfitta alle europee imporrebbe al Pd di chiedere alla segretaria di fare un passo di lato prima della definitiva implosione del partito. Diciamola tutta: se la linea del Pd deve essere quella finora incarnata da Schlein, meglio sarebbe per il partito avere come segretario Landini. Senza se e senza ma.
Nel frattempo Renzi e Calenda cerano di rafforzarsi facendosi concorrenza spietata. L’uscita di Elena Bonetti dalla squadra renziana è un duro colpo per il senatore di Rignano. Bonetti è persona di qualità, preparata. Non una politicante qualsiasi. Più che mettersi a disposizione di Calenda lei vuole lavorare per creare uno spazio nuovo che vada oltre Azione e sia appetibile anche per altri che per ora sono rimasti sotto l’ala di Renzi senza esserne troppo convinti ma solo perchè non volevano dar ragione a Calenda.
Sarebbe bello vedere Bonetti protagonista della costruzione di un nuovo Terzo polo. Dopo Meloni e Schlein un’altra donna alla guida di un soggetto politico sarebbe davvero una svolta storica per l’Italia.