giovedì, 21 Novembre, 2024
Politica

Giustizia troppe parole in libertà provvisoria

Si è concesso troppo tempo e spazio al vacuo chiacchiericcio sulla giustizia lasciando che la materia diventasse oggetto di strumentalizzazioni anche all’interno della maggioranza. Meloni dovrebbe mettere la parola fine e riportare la riforma nei binari del dialogo istituzionale e nei limiti di ciò che il Governo si è impegnato a fare. Tenendo conto anche dei saggi suggerimenti del Quirinale.

Rimodulare il reato di concorso esterno in associazione mafiosa? Ci sono altre priorità. Meloni toglie la mina più grossa dal terreno della riforma della giustizia, alla vigilia del 19 luglio, anniversario della strage che uccise Paolo Borsellino e gli agenti della sua scorta, alla cui commemorazione il Presidente del Consiglio parteciperà anche quest’anno.

Dopo le parole del sottosegretario Mantovano, quelle di Meloni chiudono una pagina che, per la verità, si era aperta -come tante- solo in maniera virtuale.

Da quando si è insediato questo governo, sulle modifiche agli ordinamenti del codice e della procedura penali abbiamo veramente ascoltato tutto e il contrario di tutto: dichiarazioni di principio del Ministro Nordio, sue autorevoli considerazioni tecniche, prese di distanze da parte di alcuni membri del Governo, marce avanti e marce indietro in un clima dominato da una crescente confusione e da un attendismo che autorizza varie interpretazioni.

Se nel programma su cui il Governo ha ottenuto la fiducia del Parlamento ci sono degli impegni sulla riforma della giustizia questi vanno concretizzati in iniziative legislative non in dichiarazioni che lasciano il tempo che trovano. La materia è molto delicata e dovrebbe essere sottratta a strumentalizzazioni e polemiche a vuoto.

Un metodo senza parti e controparti

La Discussione ha suggerito (14 luglio) di usare un metodo basato sul dialogo e non sullo scontro tra politica e magistratura: il Governo predispone dei testi precisi, li manda alla Corte di Cassazione, al Csm e all’Anm e chiede in tempi certi osservazioni scritte e puntuali; le valuta con la dovuta attenzione e poi decide assumendosene le responsabilità di fronte ai cittadini. Un procedimento lineare, trasparente, in cui non ci sono parti e controparti ma solo istituzioni che sono chiamate ad agire con responsabilità rispettando le reciproche competenze.

Purtroppo in Italia si preferisce annunciare genericamente cosa si vuol fare, magari andando oltre il programma di governo. Le parole non sono quasi mai pesate con attenzione anche perchè pronunciate in dibattiti in cui l’applausometro conta più del buon senso. Si innesca così una reazione a catena basata sui sospetti reciproci. Un polverone gigantesco che azzoppa le riforme prima ancora che entrino in Parlamento.

Stop al riformismo declamatorio

L’assenza di un metodo corretto e la vaghezza che circonda questo riformismo declamatorio basato su parole in libertà che invano si cerca di riportare all’ordine: il clima ideale per dare spazio alle manovre più subdole all’interno della maggioranza. Per cui alcuni remano contro sperando di ottenere contropartite su altre materie; altri enfatizzano più del dovuto le dichiarazioni sperando di piantarci sopra una bandierina del proprio partito. Insomma uno spettacolo desolante in cui errori marchiani di comunicazione peggiorano il tutto.

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