Una data storica che le donne dovrebbero avere a mente: era infatti il primo febbraio 1945 quando con un decreto legislativo il Consiglio dei Ministri presieduto da Ivanoe Bonomi di riconosce il voto femminile. La proposta che cambio l’Italia fu presentata dal segretario del PCI Palmiro Togliatti e dal leader DC Alcide De Gasperi. Una sfida e una conquista vinta combattendo contro moltissimi pregiudizi, e altrettante false partenza. Nel ventennio fascista Mussolini promosse una riforma per una apertura al voto femminile che non vide mai la luce. L’idea si risolse in sola propaganda e finì con la proibizione di elezione nei consigli comunali che prevedevano solo le figure maschili di podestà e governatore.
La vera svolta arriva alla fine della guerra quando il Governo di Liberazione Nazionale, prende in esame la richiesta della Commissione per il voto alle donne dell’Unione Donne Italiane (Udi) che con un salto di proposte e di lotte coraggiose si mobilita per ottenere non solo il diritto di voto ma anche quello di eleggibilità. Una vera innovazione sentita dal corpo elettorale femminile e da quelle fasce di popolazione riforniste e aperte ai cambiamenti sociali che vedevano nel ruolo politico delle donne, nel l’impegno in prima persona una vera emancipazione che avrebbe portato benefici al Paese e alla nascente Costituzione
L’esordio delle donne alle urne, – ricorda un servizio dell’Ansa, dedicato alla storia del voto alle donne e alle prime figure istituzionali della Italia Repubblicana -, arriva con le elezioni amministrative tra marzo e aprile del 1946, mentre il 2 giugno dello stesso anno parteciperanno ad un voto di ben altra importanza storica: si tratta del referendum istituzionale per scegliere tra monarchia e repubblica e l’elezione dell’Assemblea Costituente. Il decreto che introduce il suffragio universale ordina la compilazione di liste elettorali femminili distinte da quelle maschili ed esclude dal diritto di voto le prostitute schedate che esercitavano “il meretricio fuori dei locali autorizzati”. Ma, oltre a rendere il voto possibile a tutte le donne, c’è ancora un passo importante da fare, quello della elezione a cariche istituzionali delle donne.
La decisione della eleggibilità delle donne arriva con un nuovo decreto del 10 marzo 1946. La riforma fu un successo plebiscitaria di partecipazione e impegno diretto con l’affluenza femminile supera l’89%. Nelle liste elettorali figurarono tantissime donne e circa 2 mila candidate furono emette nei consigli comunali, la maggioranza nelle liste di sinistra. “La stessa affluenza delle donne sarà registrata per il referendum del 2 giugno 1946”, ricorda l’approfondimento dell’Ansa. E non mancano fatti di costume in bilico tra vecchia e nuova concezione delle donne e delle loro conquiste sociali ed istituzionali.
La mattina del 2 giugno il ‘Corriere della Sera’ esce in edicola con l’ articolo intitolato “Senza rossetto nella cabina elettorale” con il quale invita le donne a presentarsi presso il seggio senza rossetto alle labbra. “La motivazione”, si riferisce nel servizio, “è: “Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, le donne nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potrebbero, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il loro voto. Dunque, il rossetto lo si porti con sé, per ravvivare le labbra fuori dal seggio”. Le donne elette alla Costituente saranno 21 su 226 candidate, pari al 3,7 per cento.
“Un gruppetto sparuto”, ricorda ancora l’Ansa, “che sarà ricordato come ‘madri costituenti’ che, pur appartenendo a schieramenti politici diversi, saprà applicare un gioco di squadra su temi come l’uguaglianza, la famiglia, il riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio, la parità salariale, l’accesso delle donne alle professioni. Saprà, dunque, costituzionalizzare i diritti e porre la prima pietra di leggi fondamentali per la vita quotidiana della nazione e per la sua modernità”.