Una recente analisi dei casi di Covid-19, a Pechino, ha suggerito che non sono emerse nuove varianti dalla recente epidemia in Cina.
Dopo quasi tre anni di rigide politiche “zero-Covid” , il 7 dicembre scorso il governo cinese ha abbandonato la maggior parte delle restrizioni. L’improvviso cambiamento ha riacceso il focolaio virale, sollevando il timore che l’epidemia potesse produrre una nuova variante. Il fatto portò decine di paesi, inclusi gli Stati Uniti, a imporre test e altri limiti ai viaggiatori provenienti dalla Cina.
Lo studio finanziato dalla Cina, pubblicato su The Lancet, ha rilevato che tutte le 413 infezioni campionate a Pechino, appartenevano a varianti Covid esistenti. Le più comuni erano le sottovarianti omicron BA.5.2 e BF.7, che insieme rappresentavano oltre il 90% delle infezioni locali.
I campioni sono stati selezionati casualmente per il sequenziamento genomico da un gruppo più ampio di 2.881 campioni di alta qualità raccolti a Pechino dal 14 novembre al 20 dicembre 2022.
George Gao, l’autore principale dello studio, professore presso l’Istituto di microbiologia dell’Accademia cinese delle scienze ed ex direttore del Centro cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie, ha affermato che è importante indagare se durante l’epidemia cinese siano emerse nuove varianti, dato l’impatto che altri come delta e omicron hanno avuto sul corso della pandemia.
L’analisi ha evidenziato come le due sottovarianti di omicron siano state le principali responsabili dell’attuale impennata a Pechino, e probabilmente della Cina nel suo insieme. Tuttavia, con la continua circolazione su larga scala di Covid-19, è importante continuare a monitorare attentamente la situazione in modo da individuare il prima possibile eventuali nuove varianti.
Sebbene lo studio coprisse un breve periodo temporale con un campionamento limitato a Pechino, i suoi risultati sono in linea con i rapporti dall’Italia e da altri Paesi che hanno testato gli arrivi dalla Cina per Covid e sequenziato i risultati.